Omar Di Monopoli
La scrittura come impegno. “È impossibile scrivere dal Sud e non fare, anche involontariamente, un atto politico”. Omar Di Monopoli ha 39 anni, una decina dei quali spesi al di sotto delle torri bolognesi, altri vissuti da ramingo per mestiere. E scrive. Scrive di Sud. Omar Di Monopoli, autore de “La legge di Fonzi”, – atto finale di una trilogia iniziata, quattro anni fa, con “Uomini e cani” e proseguita con “Ferro e fuoco” -, è uno dei talenti emergenti della letteratura nazionale. Tre fatiche all’attivo, dunque, edite dalla ISBN, appendice giovanile de Il Saggiatore. Una quarta in preparazione. Anzi, già pronta, come rileva nell’intervista rilasciata in esclusiva a Stato Quotidiano appena prima che iniziasse la presentazione del suo testo presso la Ubik di Foggia. Un libro intessuto con le fibre colorate ma ruvide della Puglia salentina. Meglio, quella “che non rientra nelle brochure delle pro loco e delle Apt”. E che, confida, qualche contestazione gliel’ha anche provocata. Un libro che ripercorre le orme dei suoi grandi maestri della letteratura e del cinema e riannoda le tematiche già dipanate sin dagli esordi della sua carriera letteraria. Un libro “esaltante”, l’ha definito il critico letterario e gestore della libreria foggiana, Michele Trecca. “Di critica sociale, impegnato” l’ha lodato il referente provinciale di Libera, Mimmo Di Gioia.
Una pletora di apprezzamenti anche del pubblico. Unanime. E sì che Omar è uno scrittore che non ama essere blandito e non blandisce. Duro nel tramare al limite dello splatter, ricercato nello scrivere alla soglia del cesellamento. In fondo, chiede e si chiede, “chi ha detto che la letteratura di genere debba servirsi di quelle poche parole che la caratterizzano?” Si, perché il suo narrare è limpido ed insieme complesso. Ossimorico come i suoi personaggi. Poveri, antieroi, cattivissimi, teneri, goffi, senza scrupoli. Manipoli di casi umani che muove a suo piacere a con i quali Omar si diverte a giocare, con esiti e tocchi di imprevedibilità. Prendete Giovanni Fonzi Pentescoste, uno dei protagonisti del libro, che mutua il nome da “quello omonimo dei telefilm che non si lasciava toccare i capelli”. Bene e male concentrati in un testo, sapientemente miscelati da quelle mani che, parlando, stringono tra le dita un sigaro spento. Con quell’aria svogliata e cordiale, Omar di Monopoli attira l’attenzione del pubblico forgiando retroscena e discutendo di episodi di quotidiana illegalità. Alla conterranea brindisina, ricorda i tic di quella terra illusa di aver battuto la Sacra Corona Unita. La menziona più d’una volta quella diabolica e luttuosa locuzione. “La mafia – ripete quasi ossessivamente – non è morta si è solamente trasformata”. Il dibattito diventa un seminario di legalità, laboratorio di idee di giustizia. Foggia a Di Monopoli non riserva polemiche, tributa allegria, sconforto, applausi; confida finanche le paure, racconta i vizi comunitari. E sì che pure, giura, non ha mai voluto porsi alla stregua di un giudice. Tantomeno di giornalista. Pur riconoscendo “l’opportunità forse vigliacca ma efficace di denunciare e raccontare senza dover necessariamente fare nomi”. Tira anche in mezzo Roberto Saviano, ma per nettare i dovuti distinguo. “Lui ha localizzato la sua storia, scelto un posto, fatto nomi. La sua vocazione è giornalistica. Io ho inventato un paese, Monte Svevo, in cui concentrare tutti i mali”; Monte Svevo come “l’epitome delle tante città invisibili della Puglia, chiuse in un cono d’ombra”. Al nome dell’autore di “Gomorra” non viene regalato il tripudio di mani che ci si attendeva. Il discorso scorre via liscio. Conversazione in Puglia, per parafrasare un noto libro di Elio Vittorini. Meglio ancora, conversazione sulla Puglia. Le magagne irrispettose che hanno e stanno stuprando Salento e Gargano. Nel contempo le più sponsorizzate e maltrattate sub regioni dello sperone italico. Golose mete di turisti imbecilliti dalla sbornia di pizzica e di vini di produzione locale. Nel discorso, come in un tritacarne, finiscono gli amministratori locali e quelli nazionali, identici responsabili di uno scempio tanto inspiegabile quanto ignorato. Di Monopoli parla tanto. Ed ascolta ancor di più. Sorride. E chiosa: “Tocca a noi artisti ormai, farci carico di mettere in risalto le contraddizioni delle terre dove operiamo. D’altronde, di queste contraddizioni, noi siamo il prodotto”.
Omar Di Monopoli, LA LEGGE DI FONZI, isbn, 2010
INTERVISTA UBIKKIANA. OVVERO, COSE CI SI DICE SUL ROSSO DIVANO DI MICHELE TRECCA
È reduce da un’estate trascorsa in giro per la Puglia. Indefessamente, per far conoscere il suo terzo lavoro. “La legge di Fonzi” in qualche modo chiude un capitolo della sua carriera di scrittore. Il primo capitolo, quello senza il quale, tutto il resto permarrebbe nell’oscurità. Qualcuno l’ha chiamata “trilogia della criminalità”, qualcun altro “trilogia western”. Di sicuro c’è che “Uomini e cani”, “Ferro e fuoco” e il testo presentato a Foggia, hanno avuto il merito di averlo introdotto, e dalla porta principale, nella hole della letteratura nazionale. L’IBSN, costola in sol minore de Il Saggiatore, ha già opzionato l’edizione del suo quarto romanzo. Anche se, al momento, non ci sono ancora certezze assolute.
Ma il lavoro è già cominciato?
In verità è già concluso. E da tempo.
Ah…
Ebbene si. Il quarto in realtà è come fosse il primo. Anzi, per la precisione, l’ho scritto prima di metter mano alla trilogia. Avrei dovuto pubblicarlo da tempo, poi non se ne fece nulla.
Come mai?
Nessun problema in particolare. Una valutazione di opportunità. A differenza dei miei tre romanzi editi, questo quarto non ha la terza persona onnisciente, ma è narrato in prima persona. E la prospettiva di osservazione è quella di un bambino decenne. Sfortuna volle che, quel mio lavoro, coincise, temporalmente, con l’uscita di “Io non ho paura”. Ed allora scelsi di accantonare il progetto per tempi migliori
Che fa Omar Di Monopoli, un passo letterario in avanti?
I temi sono sempre quelli, in verità. Lo sfondo è la Puglia rurale degli anni Ottanta in cui ci si oppone all’insediamento delle centrali nucleari. Cambia soltanto il punto di vista. C’è un’ottica più intimista.
Senti Omar, ma non sarà che con il tuo punto di vista così dissacrante sulla Puglia mi fai incazzare qualcuno?
Sono tre anni che mi batto contro le pro loco di tutta la Puglia, contro sindaci ed amministratori. Loro hanno voglia ed interesse a mostrare la faccia bella della Puglia. Ma la magia della taranta è lontana dal mio modo di vedere e raccontare la nostra regione. È un’oculata strategia, una serie di passi mirati che tendono a celare quel che non funziona.
Sarà mica che da autore western vorrai diventare impegnato?
Sorride – “Uomini e cani” ha vinto il Premio Città di Milano, lo stesso che è stato assegnato a Saviano… A parte gli scherzi: quanto parli di Sud, di una frazione di terra così dannatamente intricata e complessa qual è il nostro Meridione, e prendi a narrare quel che vi succede, già naturalmente compi un atto politico.
Lu Salentu
Monte Svevo, il paese che descrivi nel romanzo è impregnata di tic dannatamente pugliesi: la gioventù arresa nei confronti del futuro, il panorama mozzato dalla rabbia cattiva del rifiuto, personcine piccole come vermi che manipolano a loro piacimento il potere dirigendo la vita di altri a piacimento…
È vero. Anche se, nella realtà, non ci sono paesi con quel nome, Monte Svevo è il riassunto perfetto di tutti i paesi invisibili del brindisino e, più in grande, della Puglia.
Se dico Oria, che fai, annuisci?
Si, c’è un po’ di Oria, un po’ di Mesagne, un po’ di altri paesi.
I tuoi personaggi sono i tipici antieroi. Non hanno nulla di epifanico, sono incapaci di esaltarsi, di vincere. Si accontentano di galleggiare nella vita. Anche quando potrebbero fare atti eclatanti si bloccano. Non ti piace la figura del buono?
I miei sono personaggi sconfitti. Prendi Pisso – uno dei protagonisti – si illude di essersi divincolato dalle grinfie della malavita, crede di essersi evoluto. Ed invece, alla fine, anche lui si macchia di omicidio. Cade nella rete.
È un canto senza speranza, il tuo…
Si. E volutamente. Io lascio la speranza al lettore. E faccio in modo che lui trovi speranza nella sua stessa rabbia. Indignandosi per quello che io scrivo, il lettore dimostra di essere ancora ancestralmente attaccato alla sua terra. Io cerco di suscitare questo.
Foggia, 22 settembre 2010. Da sinistra, Michele Trecca e Omar Di Monopoli
Quanto male…
Esatto. Il male. La mia è tutta una riflessione del male. L’immagine da cui ho tratto ispirazione è quella dell’Overlook Hotel di Shining, un posto talmente impregnato di male, da rendere cattivo chiunque lo frequentasse. Ecco. Monte Svevo è così, i miei luoghi sono questi. La malvagità è così incancrenita da divenire l’elemento essenziale dei luoghi stessi, che cade a getto a tal punto su chi ne vive dentro, da contrassegnarlo.
Senti, cambiando discorso. Tu, Nicola la Gioia, Mario Desiati. La Puglia ha trovato una genie di scrittori. Dopo Vendola, si riparte da qui?
Sorride ancora, muove il sigaro nella mano e pensa – Io la vedo così: l’arte sboccia e trova terreno fertile laddove ci sono contraddizioni. Nelle contraddizioni l’artista trova forza ed ispirazione. La Puglia è piena di contraddizioni evidentemente. Il paragone lo si potrebbe fare con un’altra terra di scrittori emergenti, la Sardegna. Non a caso sono, Puglia e Sardegna, le regioni più vive in quanto a nuovi movimenti artistici. Ed altrettanto sature di problemi. Non è un caso, non credi?
anche su http://www.statoquotidiano.it/23/09/2010/monte-svevo-di-monopoli-riflette-sui-malesseri-pugliesi/34825/