Continua il monitoraggio sulle “morti di carcere”, che nel mese di ottobre registra 8 nuovi casi: 3 suicidi, 3 morti per malattia e 2 per cause ancora da accertare.
Nome e cognome |
Età
|
Data morte |
Causa morte |
Istituto |
Roberto Capri |
31 anni |
04 ottobre 2009 |
Suicidio |
Poggioreale (Na) |
Gennaro Cerbone |
41 anni |
11 ottobre 2009 |
Malattia |
Lanciano (Ch) |
Elio O., detenuto italiano |
35 anni |
13 ottobre 2009 |
Da accertare |
Frosinone |
Detenuto romeno |
24 anni |
17 ottobre 2009 |
Suicidio |
Tolmezzo (Ud) |
Stefano Cucchi |
31 anni |
22 ottobre 2009 |
Da accertare |
Regina Coeli (Rm) |
Rahmoni Wissem |
30 anni |
26 ottobre 2009 |
Malattia |
Isernia |
Francesco Gozzi |
52 anni |
27 ottobre 2009 |
Suicidio |
Parma |
Marcello Calì |
50 anni |
28 ottobre 2009 |
Malattia |
Poggioreale (Na) |
Suicidio: 4 ottobre 2009, carcere di Poggioreale (Na)
Si è tolto la vita impiccandosi al soffitto con la cinta dei pantaloni nella sua cella presso il carcere di Poggioreale dove era detenuto dallo scorso agosto. Per Roberto Capri, 31 anni, non c’è stato nulla da fare sabato sera quando gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno soccorso: il ragazzo era già morto. Una sorte che lo accomuna la padre Pasquale e allo zio Pierpaolo, entrambi deceduti dietro le sbarre anche se per motivi di salute.
A suo carico pensanti capi di imputazione: due distinte indagini condotte, dalla Dia e dai carabinieri, gli sono costati accuse di minaccia e tentata estorsione aggravata dal metodo camorristico. Motivi per i quali fu arrestato nell’agosto del 2009. Tornato in libertà, in attesa di giudizio, Capri fu poi arrestato dagli agenti della Squadra Mobile, invece, a novembre dello scorso anno in quanto ritenuto colpevole di aver sparato, in un centro scommesse di Largo Antica Corte, ferendo il 21enne Ciro Persico.
Non si conoscono al momento ulteriori dettagli sulla vicenda. Ma resta il mistero sugli oscuri motivi alla base del gesto estremo. Intanto per questa mattina dovrebbe essere stato disposto l’esame autoptico sulla salma per capire almeno la causa del decesso. Nelle prossime ore saranno interrogati anche i suoi familiari per cercare di individuare il motivo, o l’esistenza di eventuali situazioni di depressione. Il fratello, Francesco, è invece detenuto a Spoleto. Il 10 aprile del 2006 anche lo zio Pierpaolo Capri fu trovato morto nella sua cella, era detenuto nel carcere di Bari.
I medici accertarono che la causa del decesso, in quella circostanza, fu un infarto per sospetta overdose o possibile attacco di epilessia. Nell’ottobre del 2006 aggredì il nipote di Angelo Ubbidiente con il calcio di una pistola, una vendetta trasversale nei confronti del boss diventato un pentito di camorra. Un anno dopo gambizzò Persico nel centro storico per motivi d’affari.
Capri, difatti, si era specializzato in estorsioni non soltanto con richiesta di pizzo ma imponendo anche i propri scagnozzi come security. Per questi motivi, prima dell’arresto, Roberto Capri era “attenzionato”, come anche il suo ex socio in affari, poi diventato il suo bersaglio, Vincenzo Persico. Insieme, secondo gli inquirenti, avrebbero messo a segno diversi colpi, fino alla rottura.
Alla lite in pubblico, con tanto di scambio di minacce, sulla quale gli investigatori cercano ora di far luce. Piccoli boss emergenti circondati dall’omertà dei loro fedelissimi. Roberto avrebbe dovuto gestire, in prima persona, gli affari di famiglia consapevole delle importanti amicizie che la famiglia Capri era riuscita a stringere negli anni precedenti. Il fratello Francesco, ad esempio, è ritenuto dagli inquirenti il referente del clan Iannaco-Adinolfi. (Il Mattino, 6 ottobre 2009)
Malattia: 11 ottobre 2009, carcere di Lanciano (Ch)
Hanno chiesto di vederlo un’ultima volta quando ormai era in fin di vita per una emorragia cerebrale, ma dal magistrato di sorveglianza non hanno ottenuto risposte. Solo ieri mattina, due ore dopo la sua morte, l’anziana madre e i fratelli di Gennaro Cerbone, 41 anni, di Napoli, detenuto a Lanciano ma ricoverato all’ospedale di Teramo, nipote di Raffaele Stolder, uno dei boss della camorra, sono riusciti a vedere il loro congiunto.
“Ci hanno detto che c’era una questione di pericolosità sociale”, racconta la sorella Serafina Cerbone, “ma mio fratello non era un criminale. Aveva il diritto di vedere sua mamma e i suoi fratelli un’ultima volta prima di morire. Ma purtroppo così non è stato”. La donna racconta che il fratello a luglio era entrato in carcere per scontare un cumulo di pene di qualche mese.
“Si era presentato da solo nel carcere di Poggio Reale per pagare il suo debito con la giustizia”, dice, “da Napoli poi era stato trasferito a Lanciano. Noi che si era sentito male lo abbiamo saputo dai familiari di altri detenuti. Nessuno ci ha avvisati”. L’uomo si è sentito male lunedì, mentre era nella sua cella. Improvvisamente si è accasciato a terra. Le sue condizioni sono subito apparse molto gravi. Dopo essere stato trasportato all’ospedale di Lanciano è stato immediatamente trasferito nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Teramo.
“Martedì”, racconta ancora la sorella, “abbiamo saputo quello che era successo e ci siamo subiti messi in movimento per venire a Teramo. Abbiamo chiesto l’autorizzazione per poterlo vedere, almeno per farlo vedere un’ultima volta alla madre. Ma, nonostante fosse ormai in fin di vita, ci è stato vietato. Crediamo che sia stato un atto di grande disumanità per noi familiari”. Gennaro Cerbone è morto alle 11.40 di ieri. “Solo dopo qualche ora dopo”, continua la sorella, “lo abbiamo potuto vedere. Ma la burocrazia ci è ancora ostile. Volevamo riportarlo subito a Napoli, ma dobbiamo aspettare ancora qualche giorno perché ci hanno chiesto il suo atto di nascita, che naturalmente si trova a Napoli”. Forse solo domani la salma potrà lasciare l’ospedale di Teramo. (Il Centro, 12 ottobre 2009)
Cause da accertare: 13 ottobre 2009, carcere di Frosinone
Pubblichiamo la lettera scritta dall’avv. Marco Cinquegrana, che ci dà notizia della morte di un suo cliente detenuto nel carcere di Frosinone. Il detenuto si chiamava Elio O. ed è morto il 13 ottobre. Ciò che colpisce, a quanto si apprende, è la causa del decesso. Overdose di droga. Insomma, pare che, dopo il caso del Carcere Marassi di Genova, un altro istituto penitenziario non sia impermeabile al traffico di sostanze stupefacenti.
“Volevo segnalare a Radiocarcere il decesso avvenuto nel carcere di Frosinone del mio assistito Elio O., 35 anni, deceduto in data 13 ottobre. Nell’incarico peritale conferito dal Pm della locale procura si ipotizzano reati di cui agli art. 586 c.p., 73,80 Dpr 309/90, quindi devo presumere che Elio sia deceduto per overdose di sostanze stupefacenti che qualcuno ha illegittimamente introdotto in carcere. Ogni commento è superfluo visto che il povero Elio O. aveva 35 anni. Vi farò sapere qualcosa appena avrò la possibilità di parlare con il pm della procura di Frosinone, dott. De Bona, che si occupa della vicenda”.
(www.radiocarcere.com, 26 ottobre 2009)
Suicidio: 17 ottobre 2009, carcere di Tolmezzo (Ud)
Un romeno di 24 anni si è suicidato impiccandosi nel carcere di Tolmezzo. La notizia è stata confermata alla deputata Radicale Rita Bernardini dalla direttrice dell’istituto di pena, Silvia Della Branca “che ancora una volta, come tutti i direttori dei penitenziari italiani, ha stigmatizzato l’insostenibile carenza di personale”. (Apcom, 27 ottobre 2009)
Cause da accertare: 22 ottobre 2009, carcere di Regina Colei (Rm)
Verità su Stefano Cucchi. E in tempi rapidi. La invocano la famiglia, i legali e la politica. Tutti insieme oggi hanno convocato una conferenza stampa in Senato per chiedere di fare luce sulla morte del 31enne romano, fermato giovedì 16 ottobre nel parco degli Acquedotti perché in possesso di venti grammi di sostanze stupefacenti, e morto nel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini giovedì 22, dopo essere passato per il Tribunale, il Regina Coeli e il Fatebenefratelli. Otto interminabili giorni durante i quali la famiglia ha tentato invano di vedere il loro caro e di parlare con i medici che lo avevano in cura.
Per sollecitare l’opinione pubblica, il padre Giovanni e la sorella Ilaria hanno distribuito le foto del corpo di Stefano scattate dall’agenzia funebre dopo l’autopsia. Immagini “drammaticamente eloquenti”, come le ha definite Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto e promotore dell’iniziativa: “Da sole dicono quanti traumi abbia patito quel corpo – aggiunge – E danno una rappresentanza tragicamente efficace del calvario di Stefano. La famiglia ha pensato molto se distribuirle, perché oltre ad essere scioccanti fanno parte della sfera intima”.
Si vede così un corpo estremamente esile (dai 43 chili del fermo è passato ai 37), con il volto devastato, l’occhio destro rientrato nell’orbita, l’arcata sopraccigliare sinistra gonfia e la mascella destra con un solco verticale, segno di una frattura.
Al momento è stata aperta un’inchiesta d’ufficio. Il legale della famiglia, Fabio Anselmo, spiega che “l’atto di morte è stato acquisito dal Pm, per cui non abbiamo in mano nulla se non queste foto e un appunto del nostro medico legale”. Dal quale si evince che “sul corpo non sono stati riscontrati traumi lesivi che possano aver causato la morte, ma escoriazioni, ecchimosi e presenza di sangue nella vescica. Aspettiamo gli esiti dell’esame istologico”.
L’avvocato, poi, ci tiene a precisare che “noi non accusiamo nessuno. Stefano è uscito di casa in perfette condizioni di salute e non è più tornato. Chiediamo che non ci sia un valzer di spiegazioni frettolose e spesso in contraddizione tra loro e di risparmiare alla famiglia un processo su quello che è stato Stefano”. Il prossimo passo sarà la costituzione di un pool di medici esperti in grado di “vagliare criticamente il poco materiale che abbiamo”.
Anche il mondo della politica farà la sua parte. Così promettono Emma Bonino, Flavia Perina, Renato Farina e Marco Perduca, presenti oggi alla conferenza stampa. “Cose di questo genere – ha detto Perina – succedono nel far west e non in uno Stato di diritto”. Secondo Bonino, poi, “è in gioco la credibilità delle istituzioni. Lo Stato deve rispondere all’opinione pubblica”. Marco Perduca, infine, annuncia che “come commissione parlamentare sui diritti umani prenderemo in considerazione una missione ispettiva al reparto detentivo del Pertini”. Farina, che ha visitato il nosocomio, ha riferito infine di “una struttura peggio del carcere”.
Il padre: chiediamo chiarezza al ministro La Russa
“Mio figlio in quei momenti era sotto la tutela dello Stato e dunque questa vicenda non può passare sotto silenzio. E dato che è stato preso in consegna dai carabinieri chiediamo chiarezza al ministro della Difesa, Ignazio La Russa”. È quanto ha affermato Giovanni Cucchi, padre di Stefano, il 31enne romano arrestato il 16 ottobre per possesso di droga e morto il 22 ottobre all’ospedale Pertini dopo essere stato rinchiuso nel carcere Regina Coeli.
Nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta in Senato, Giovanni Cucchi è apparso visibilmente provato (“Siamo una famiglia distrutta dal dolore”), ma determinato, e ha tentato di raccontare il figlio: “Era un ragazzo come tanti, pieno di vita, cordiale. Era un geometra, in passato incappato nella droga, da cui però era uscito grazie a una comunità di recupero”. Quindi ha rivolto una serie di domande: “Chiediamo allo Stato perché non è stato chiamato il suo avvocato di fiducia, come aveva chiesto, quando è stato arrestato? Perché ha subito le lesioni? Chi e quando sono state prodotte? Perché ci è stato impedito di parlare con i medici? Perché in sei giorni ha avuto una tale debilitazione?”.
La sorella, Ilaria, ha commentato le dichiarazioni rilasciate ieri dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel corso di un question time alla Camera: “Lo ringrazio, spero che ora inizi a interessarsi davvero perché non mi sembra che abbia risposto o abbia detto qualcosa di nuovo. Ha letto gli atti”.
Anche lei, poi, ha ricordato suo fratello Stefano: “Lo abbiamo visto uscire di casa sano e lo abbiamo rivisto in condizioni pietose. Mio fratello è stato lasciato morire in solitudine, aveva chiesto una Bibbia perché sapeva che stava per morire. Nessuno lo ha tutelato”. Inoltre, Ilaria Cucchi ha voluto precisare anche che “è stato fermato per una modica quantità di hashish. Quello che qualcuno ha detto essere ecstasy, in realtà erano due pasticche regolarmente prescritte dal medico perché mio fratello soffriva di epilessia”.
Marroni (garante detenuti): esposto a procura su morte Stefano Cucchi
“Auspico che le indagini avviate dal Prap e dalla Procura della Repubblica, di cui ha parlato oggi il ministro della Giustizia, contribuiscano a fare piena luce sulla morte di Stefano Cucchi, una vicenda che presenta lati oscuri non ancora del tutto chiariti che meritano un approfondimento”. È questo il commento del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni dopo aver ascoltato la riposta del ministro della Giustizia Angelino Alfano all’interrogazione presentata dai parlamentari Bernardini e Giachetti sulla vicenda del 31enne romano morto il 22 ottobre nella struttura sanitaria protetta dell’Ospedale Sandro Pertini. Sul caso, il Garante dei detenuti ha preannunciato anche l’invio di un suo esposto alla Procura della Repubblica di Roma.
Spero che l’impegno del ministro a fare piena luce sull’accaduto abbia un immediato riscontro – ha detto Marroni – Però, come Garante ho l’obbligo di contribuire a garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti nelle carceri della Regione, primo fra tutti quello alla vita. Per questo, non disponendo di poteri specifici di intervento, al fine di accertare l’eventuale commissione di reati mi limito a riferire i fatti alla magistratura”. Nel suo esposto alla Procura il Garante ripercorre, per sommi capi, la vicenda del giovane Cucchi, arrestato nella notte tra il 15 e 16 ottobre per possesso di una modesta quantità di stupefacente e morto una settimana dopo.
“Dalle verifiche condotte dall’Ufficio del Garante presso le autorità sanitarie e quelle penitenziarie – riferisce la nota del Garante – risulterebbero, in particolare, due punti importanti: il pomeriggio prima della morte i medici dell’ospedale Pertini avrebbero avvisato con una relazione allegata alla cartella clinica, il magistrato delle difficoltà a gestire le condizioni del paziente, che avrebbe tenuto un atteggiamento di rifiuto verso i trattamenti terapeutici. Inoltre, il personale sanitario non sarebbe mai venuto a conoscenza, se non dopo la morte, della richiesta di colloquio dei familiari, per altro ritenuto dai medici fondamentale in ogni caso”.
“Ora – conclude Marroni – attendiamo l’esito degli esami autoptici per comprendere cosa è esattamente successo a questo ragazzo. Al di là tutto, io credo che aver impedito ai genitori di vedere il figlio per giorni è un fatto di una gravità estrema, così come è grave, se vera, la circostanza riferita dai parlamentari secondo cui al perito della famiglia sarebbe stato impedito di assistere all’autopsia”.
Manconi: lesioni e traumi sul suo corpo
“Ho avuto modo di vedere le foto della salma di Stefano Cucchi, 31 anni, morto in circostanze tutte ancora da chiarire nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma. È difficile trovare le parole per dire lo strazio di quel corpo, che rivela una agonia sofferta e tormentata”: è quanto dice, in una nota, Luigi Manconi, già sottosegretario alla Giustizia, presidente dell’associazione A Buon Diritto.
È inconfutabile – aggiunge – che il corpo di Stefano Cucchi, gracile e minuto, abbia subito a partire dalla notte tra il 15 e 16 ottobre numerose e gravi offese e abbia riportato lesioni e traumi. È inconfutabile che Stefano Cucchi, come testimoniato dai genitori, è stato fermato dai carabinieri quando il suo stato di salute era assolutamente normale ma già dopo quattordici ore e mezza il medico dell’ambulatorio del palazzo di Giustizia e successivamente quello del carcere di Regina Coeli riscontravano lesioni ed ecchimosi nella regione palpebrale bilaterale; e, la visita presso il Fatebenefratelli di quello stesso tardo pomeriggio evidenziava la rottura di alcune vertebre indicando una prognosi di 25 giorni.
È inconfutabile – dice ancora Manconi – che, una volta giunto nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini, Stefano Cucchi non abbia ricevuto assistenza e cure adeguate e tantomeno quella sollecitudine che avrebbe imposto, anche solo sotto il profilo deontologico, di avvertire i familiari e di tenerli al corrente dello stato di salute del giovane: al punto che non è stato nemmeno possibile per i parenti incontrare i sanitari o ricevere informazioni da loro. È inconfutabile che l’esame autoptico abbia rivelato la presenza di sangue nello stomaco e nell’uretra. È inconfutabile, infine – aggiunge – che un cittadino, fermato per un reato di entità non grave, entrato con le proprie gambe in una caserma dei carabinieri e passato attraverso quattro diverse strutture statuali (la camera di sicurezza, il tribunale, il carcere, il reparto detentivo di un ospedale) ne sia uscito cadavere, senza che una sola delle moltissime circostanze oscure o controverse di questo percorso che lo ha portato alla morte sia stata ancora chiarità.
Venier (Pdci): Alfano faccia chiarezza su caso Cucchi
Quante persone “cadono” nelle caserme e nelle carceri italiane? Ciò che ha detto il Ministro Alfano è del tutto insufficiente a fare chiarezza su una vicenda che rischia di minare la credibilità delle Istituzioni come è già successo in altri casi terribili. Speriamo di non dover assistere alle stesse sofferenze che hanno dovuto affrontare i familiari di Federico Aldovrandi e Aldo Bianzino per ottenere un minimo di giustizia per la morte dei loro cari”. È quanto afferma Jacopo Venier, dell’ufficio politico del Pdci – Federazione della Sinistra, riferendosi alla vicenda di Stefano Cucchi.
Alfano: la morte di Stefano Cucchi esige immediati approfondimenti
La morte di Stefano Cucchi, come tutte le morti avvenute in condizioni apparentemente non chiare, esige un approfondimento immediato che ho già avviato, per i poteri di mia competenza”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano, nel corso del question time alla Camera. Alfano ha poi voluto precisare: “Io personalmente seguirò con estrema attenzione tutti gli sviluppi della vicenda e adotterò ogni iniziativa di mia competenza che possa risultare utile per fare luce sugli eventi”. Il Guardasigilli ha anche comunicato che: “La Magistratura inquirente romana ha avviato le indagini e acquisito la documentazione medica del detenuto conferendo un incarico a un perito per l’esame autoptico al fine di appurare le cause e i mezzi che hanno prodotto la morte”.
Alfano, in base ai dati riferiti dall’Amministrazione penitenziaria, ha ricostruito in Aula la vicenda del detenuto morto il 22 ottobre. “Stefano Cucchi è stato tratto in arresto il 15 ottobre per rispondere del reato di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti – ha ricordato Alfano – il 16 ottobre è stato condotto dinanzi al Tribunale di Roma per la convalida dell’arresto e quivi refertato dal medico dell’ambulatorio della città giudiziaria”. Il medico, ha riferito Alfano, ha riscontrato “lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente” e, ha aggiunto, “ha avuto riferite dal Cucchi medesimo, lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori e queste ultime non verificate dal sanitario a causa del rifiuto di ispezione espresso dal detenuto”.
“Condotto al carcere di Regina Coeli – ha continuato il ministro nella sua ricostruzione – il detenuto è stato regolarmente sottoposto alla visita medica di primo ingresso. Il referto redatto in istituto – ha detto Alfano – ha evidenziato la presenza di ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione e arti inferiori”. Il medico, inoltre, ha continuato Alfano, “ha dato atto di quanto riferito dal detenuto”. Vale a dire, ha spiegato, che il detenuto “ha detto di una caduta accidentale dalle scale, necessitante, a parere dello stesso sanitario, di una visita ambulatoriale urgente presso un ospedale esterno, ove il Cucchi è stato accompagnato alle 19.50 dello stesso giorno”.
“Visitato presso l’ospedale Fatebenefratelli – ha continuato il ministro – gli sono state riscontrate, “la frattura corpo vertebrale L3 dell’emisoma sinistra e la frattura della vertebra coccigea”. Sebbene invitato al ricovero, il Cucchi ha rifiutato l’ospedalizzazione ed è stato quindi dimesso contro il parere dei sanitari”. “Il giorno 17 – ha continuato Alfano – il Cucchi è stato nuovamente visitato dal medico di Regina Coeli il quale, riscontrati quelli che il detenuto riferiva essere i postumi di una caduta accidentale, verificatasi il giorno precedente, ha disposto ulteriori accertamenti da effettuarsi presso il Fatebenefratelli. Trasferito nella struttura ospedaliera, il Cucchi ha chiesto il ricovero per via del persistente dolore nella zona traumatizzata e per riferita anuria”.
“Alle ore 19 del medesimo giorno – ha aggiunto Alfano – il Cucchi è stato ricoverato presso il reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini dove è deceduto la mattina del 22 ottobre per presunta morte naturale, come da certificazione medica rilasciata dal sanitario ospedaliero”.
“Faccio presente – ha detto il ministro al termine della sua ricostruzione – che il 23 ottobre, con un provvedimento della competente Direzione generale dell’Amministrazione penitenziaria, è stata affidata al provveditore regionale per il Lazio un’indagine immediata, volta ad appurare le cause e le circostanze e le modalità dell’accaduto”. (Redattore Sociale – Dire, 29 ottobre 2009)
Malattia: 26 ottobre 2009, carcere di Isernia
“È triste pensare che Rahmoni non ci sia più”. L’improvvisa morte del detenuto 30enne di origine tunisina stroncato lunedì da un infarto cardiaco nel carcere di Isernia provoca sconcerto e dolore fra i detenuti ed il personale di custodia di Torre Sinello. Fra le mura del carcere di Punta Penna, Rahmoni Wissem ha trascorso otto mesi. Un passato di droga alle spalle, il giovane tunisino a Vasto ha lasciato molti amici. Lo ricordano tutti in buona salute.
“Se Rahmoni soffriva di problemi cardiaci è stato molto bravo a nasconderlo, certo non aveva un carattere facile: a volte era allegro e ben disposto verso tutti, altre volte era cupo, si chiudeva in se e discuteva per un nonnulla con i compagni di cella”, raccontano alcuni operatori. Arrestato nel 2008 a Perugia per reati legati allo spaccio di droga, il giovane tunisino è arrivato a Vasto dopo aver trascorso prima un periodo di reclusione in Umbria. Nonostante gli sbalzi d’umore, era riuscito a integrarsi e a farsi voler bene. All’inizio del mese è stato trasferito ad Isernia.
Nessuno ha più avuto notizia di lui fino a due giorni fa quando è stato trovato morto nella sua cella del carcere a Ponte San Leonardo da un agente di custodia. L’intervento dei medici non è servito a nulla. Il referto parla di “blocco dell’attività cardiaca”. La Procura di Campobasso non ha ritenuto necessaria l’autopsia ed ha messo la salma a disposizione dei familiari. La polizia penitenziaria, attraverso l’ambasciata tunisina a Roma, ha avviato le ricerche dei parenti. (Il Centro, 28 ottobre 2009)
Suicidio: 27 ottobre 2009, carcere di Parma
Un presunto affiliato alla ‘ndrangheta, Francesco Gozzi, di 52 anni, esponente della cosca Latella di Reggio Calabria, si è tolto la vita nel carcere di Parma dove stava scontando, in regime di 41 bis, la condanna all’ergastolo. Gozzi si è impiccato utilizzando alcuni fogli di giornale intrecciati in modo da formare una corda. La Procura della Repubblica di Bologna ha avviato un’inchiesta ipotizzando il reato di istigazione al suicidio. In precedenza Gozzi aveva attuato altri due tentativi di suicidio. Stando a quanto emerso Gozzi era psicologicamente provato dal regime carcerario cui era sottoposto. Una situazione che era stata segnalata dai difensori di Gozzi, gli avvocati Carmelo Malara e Lorenzo Gatto, che avevano chiesto, senza ottenere alcuna risposta, il trasferimento dell’ergastolano in un centro clinico specializzato. (Ansa, 29 ottobre 2009)
Malattia: 28 ottobre 2009, carcere di Poggioreale (Na)
Il detenuto morto la scorsa notte all’ospedale Cotugno di Napoli stava scontando nel carcere di Poggioreale – nella sezione destinata ai definitivi – una pena all’ergastolo. A Poggioreale era giunto nello scorso mese di maggio. A quanto si apprende, l’uomo – che era originario della Sicilia – era sottoposto ad un particolare regime di vigilanza. Il detenuto morto, Marcello Calì, 50 anni, era stato arrestato nel 1990. Era stato condannato per violenza sessuale su una bambina di sei anni e per omicidio. Nel 2004 Marcello Calì, originario di Aidone, un piccolo centro della provincia di Enna, tentò il suicidio nel carcere di Sulmona: si taglio le vene ma venne soccorso in tempo dagli operatori della polizia penitenziaria.
A Poggioreale era stato trasferito la scorsa primavera dal penitenziario di Reggio Calabria e proprio a causa delle sue condizioni di salute era stato destinato al centro clinico del penitenziario napoletano. (Asca, 29 ottobre 2009)