Ricapitoliamo. A un giorno dalle primarie che decideranno le sorti del centrosinistra pugliese, la politica sta vivendo (o dovrebbe farlo) un nuovo moto sussultorio. Una scossa tellurica che rischierebbe, in un qualsiasi stato democratico nel senso più genuino del termine (dove le opportunità di contare non sono parimenti collocate allo start, ma lasciano in tribuna tutti quanti puntano sul baro come arguzia metologico – sportiva) di fare sfaceli, di detonare nelle mani dei suoi principali artefici. Ma l’Italia è una nazione a forte consumo di doping. Pertanto, anche politicamente, l’arte dell’arrangiarsi (espressione che non conosce eguali nel resto del mondo) è figlia dell’opportunità dell’immediato.
Come dire: il fine giustifica i mezzi
Come dire: è la forza che fa la differenza
Come dire: la sostanza ha più peso della forma.
Già. Sarà per questo che la condanna di Totò Cuffaro – ex governatore della Sicilia in quota Udc, ora senatore scudocrociato – a sette anni per favoreggiamento alla mafia (e non c’è l’attributo “esterno” tanto vituperato dai lacchè del padrone di casa arcorese) non suscita clamore più dello stretto indispensabile e necessario. Appare anzi normale amministrazione in un contesto alterato e deviato in cui la stella lucente dell’onestà è appuntata sul petto di gente come Vittorio Mangano e Giulio Andreotti. Eroe uno, statista e padre fondatore della Repubblica l’altro. Uno step momentaneo in attesa dell’assoluzione generale, del “tana libera tutti” che porrà fine all’intero costrutto eversivo di quella banda del buco chiamata “cittadini onesti”.
All’interno di questo contesto si schiude però uno scenario dalle multi sfaccettature non di secondo piano. E questo scenario ha i colori dell’orizzonte di Lungomare Nazario sauro di Bari, sede della Presidenza della Regione Puglia. Domani si vota. Boccia e Vendola. Vendola e Boccia.
Come dire: Ci riprovo, Francesco Boccia
Come dire: Approfondisco, Francesco Boccia
Come dire: Che sia la volta buona, Francesco Boccia.
Se Boccia dovesse benauguratamente perdere, sarebbe out. Fuori dalla vita politica. Magari relegato in qualche ufficio romano del Pd come Quasimodo, il deforme gobbo parigino della cattedrale di Notre Dame.
Perdere una volta contro Nichi Vendola ci può stare. Nel 2005 la primavera poteva contare su molte rondini. Ma perdere ancora, perseverare nell’ammettere pubblicamente i propri limiti sarebbe un incendio, un suicidio. Karakiri politico. Boccia lo merita. E lo merita Massimo D’Alema, regista di questo film orribile e senza trama alcuna. E lo merita l’immoto Bersani, incapace di muoversi ad indignazione, di prendersi un partito che, nel concreto, dovrebbe essere suo.
Ubi maior, minor cessat è la voce itinerante di bocca piddina in bocca piddina. E se Vendola resta un compagno, le necessità immediate, il “maior”, sono nell’accordo con l’Udc. Quell’Udc che, a sua volta, vuole fare le scarpe a Vendola per la questione sanità che, a dire di Casini, non è stata gestita con i controcazzi (ufficialmente, poi c’è molto altro, come la conquista dell’acquesdotto pugliese,m che fa gola a Caltagirone, che di Pierferdy è il suocero…).
Ma le carte si sono scoperte. Nichi è uscito immune dalle faccende legate alla sanità, Cuffaro no. Ora il Pd scelga con chi stare. E tenga a mente, sperando vivamente che arrechi disturbo durante i sonni, una sola parola: M A F I A.
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