In fondo a destra…


(Foggia, aprile 2011)

Con il Pil puntato alla tempia


Perché, nell’anno di navigazione interplanetaria di questa carcassa di astronave chiamata Terra numero 2011, un ex ricercatore dell’Istat dovrebbe scrivere un libro sul Pil? Cosa spinge un tecnico, un economista, un sindacalista, oggi, a sedere di fronte ad un computer per spendere del tempo nell’analisi approfondita di cifre non più corrispondenti all’effettivo sviluppo del mondo e della sua economia sociale oltre che pratica? In effetti, prima ancora di incominciare la redazione del suo “Oltre il Pil, un’altra economia. Nuovi indicatori per una società del ben-essere” (Ediesse 2011), Aldo Eduardo Carra si è posto questi interrogativi.

Si è chiesto se, alla luce della drastica riduzione delle risorse ambientali, e con la consapevolezza di un mondo sempre più diseguale nella redistribuzione della ricchezza, valga ancora la pena incentivare un sistema che faccia della produzione e della trasformazione delle materie prime il suo Idolo d’Oro. In effetti la risposta, un no secco, è lunga ed articolata. E la negazione del Pil altro non è se non la sconfitta patita dall’intero sistema liberista, giunto a logorazione, e la cui spinta propulsiva ha terminato il suo corso nel momento stesso in cui le disparità sociali hanno posto le basi per le turbolenze attuali.

Ed allora, con grande semplicità e con l’ausilio di dati e di illustrazioni semplificative, Carra riesce a spiegare con un pizzico d’ironia e con il grandissimo merito dell’essenzialità che non lascia spazio ad obiezioni, l’anacronismo del dato produttivo racchiuso nel Pil. Pil che, di fatto, null’altro è che il grado di giubilo del ricco, la soddisfazione del padrone, il solletico dell’imprenditore. Ed un dato che non annovera, ad esempio, al suo interno, la puntualità dei mezzi pubblici, l’accessibilità ai servizi, la fruibilità degli spazi urbani. Creando imbarazzanti situazioni in cui, economicamente, il malaffare risulta più conveniente della legalità. Un motivo in più, certo, per determinare una sterzata decisiva, un’inversione ad U che riporti il mondo ed i suoi abitanti sul sentiero della sostenibilità e del recupero graduale delle risorse attraverso la rivisitazione degli indici del progresso e la modifica stessa del concetto di progresso.

Piacevole ed istruttivo questo manualetto di Carra. Che, partendo dalla connotazione di testo di economia spiccia, assume le forme di visione profetica, poi di abbecedario del consumo responsabile, infine di sussidiario per la vita del futuro su questo pianeta. Un’apoteosi del ben-essere contro il benessere: ovvero la predicazione del passaggio dal godimento individuale a quello collettivo. L’economista dell’Ires Cgil indica la strada e chiede di seguirla. Invoca una scelta di campo, ripercorre le tappe degli errori e degli orrori dell’umanità: dalle pretese smanie di grandezza degli Stati Nazione alla corsa ad un progresso computato sulla base del carbone prima, del petrolio poi e pericolosamente orientato verso l’atomo ed il probabile sterminio collettivo della razza uomo.

Un utopista Carra. Sognatore irreprensibile eppure concreto. A punto tale che queste sue voluttà le trasforma in immaginazione che si può malleare, toccare, tramutare. Paiono vive e pulsanti. Così vicine. Basta una dose d’ottimismo ed un sano buon senso e, nel 2015 il tg sarà così: “L’Istat ha presentato oggi i tre dati che sintetizzano l’evoluzione della nostra società nell’ultimo anno: il PIL è aumentato dell’1%, la qualità ambientale è migliorata del 2%, la qualità sociale del 3%”.
Aldo Eduardo Carra, “Oltre il Pil, un’altra economia. Nuovi indicatori per una società del ben-essere”, Ediesse 2011
Giudizio: 3.5 / 5 – Buen leer

Foggia piange Paolo Borsellino

A sinistra, Marcello Sciagura (Aico), a destra Salvatore Borsellino (St)

Foggia – IN alto il quadernetto. Rosso. Come l’agenda scomparsa di Paolo. Più in basso, nel cuore, la forza di una verità troncata, arrestata di fronte alla diga erta dall’esercito di castori romani con sede nei palazzi del potere. Salvatore Borsellino si scioglie così nell’abbraccio di Foggia, con la semplicità di un gesto che chissà quante volte avrà ripetuto. E chissà in quante altre biblioteche, centri sociali, circoli aggregativi, scuole. Si scioglie al culmine di una testimonianza sentita, emozionale. Di cuore in alcuni tratti, di stomaco in altri. Tutta la rabbia dei ricordi concentrata in meno di un’ora di monologo a tinte fortissime.

“SIAMO MORTI CHE CAMMINANO”. “23 maggio – 19 luglio 1992. Stragi di stato. Misteri da svelare” nasce con questa intenzione, per volontà di Aico ed Acli; più che un semplice convegno. Piuttosto, un contenitore di storia, di verità, di giustizia. Come una testimonianza, come una goccia, l’ennesima, ad erodere il muro di silente indifferenza che ruota attorno ad uno dei periodi peggiori, forse il peggiore, di certo il più oscuro, della Prima Repubblica Italiana. La Dc, i servizi deviati, le bombe, la trattativa Stato-mafia, Totò Riina, Binnu Provenzano, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Nicola Mancino e Luciano Violante. Soprattutto, l’omertà, le verginità ricostituite alla luce dell’antimafia di professione. E quella frase di Borsellino, Paolo, non Salvatore, quell’intervista in cui, con un principio di lacrime ad offuscare lo sguardo speranzoso, il magistrato sussurrava, riferito a se stesso: “Convinciamoci che siamo cadaveri che camminano”.

CINQUE ANNI DI MEMORIA. Il testamento morale. Quello che, come in una staffetta, è passato nelle mani di suo fratello. Per cinque anni, dopo l’omicidio del giudice palermitano, Salvatore Borsellino ha infilato le sue parole sotto i cuscini dei potenti, nelle pieghe dei giovani, negli anfratti della società. In ogni parte d’Italia, ovunque lo chiamassero. Un lustro che, oggi, ricorda paradossalmente con una certa nostalgia come il momento in cui ha sentito la verità in procinto di emergere. Chiara, limpida, argentina. Lì, schiantata nella rabbia della gente. Racconta, Salvatore, che “dopo la morte di Paolo sono andato in giro per dare a Paolo la voce che Paolo non aveva più”. Ed in quella missione, nell’indignazione di una Palermo che esponeva lenzuoli per urlare un disperato bisogno di antimafia, trovare un senso nuovo. Soprattutto, “la speranza che stesse per realizzarsi il sogno di mio fratello”. E che “si stesse realizzando proprio grazie alla sua morte”.

LA MORTE. Il fratello del giudice parla di morte con la naturalezza con cui si parla del pane, dell’acqua, di una giornata di pioggia in autunno. 18 anni dopo è normale che, sulle corde vocali, si sia creata una specie di callo che allevia il dolore. Anzi, Salvatore Borsellino reinterpreta la morte, la rilegge come un punto finale. Inchioda l’uditorio alla sorpresa ed all’impegno quando, da fedele, dice che “ringraziai Dio per la morte di Paolo se la sua morte avesse voluto significare la sconfitta definitiva del sistema mafioso”. Perché, in fondo, “mio fratello avrebbe certamente dato la vita per questo fine”.

LE LACRIME BAGNANO ANCORA VIA D’AMELIO Sul viso di qualcuno iniziano a scendere anche delle lacrime. La ferita aperta dal Semtex in Via D’Amelio è tutt’altro che rimarginata. Su un maxischermo scorrono le immagini di quel giorno che è stato il vero spartitraffico della Storia recente dello Stivale inzaccherato di sangue. L’asfalto sventrato, le carcasse di Fiat anni Ottanta bruciacchiate, vetri distrutti, muri arrossati dalla vita che fugge dal corpo. Scorrono le immagini di quella che, ringhia a muso duro Borsellino, “è non solo strage di mafia, ma strage di Stato”. Poi prende a sgranare il Rosario che non redime il peccato di silenzio colpevole delle istituzioni. Sono solo nomi: “Piazza della Loggia, l’Italicus, il rapido 904, la Stazione di Bologna”. Ma dietro ci sono storie strane ed inquietanti, connessioni evidenti e non solo menate di giornalisti d’inchiesta o comitati di familiari delle vittime. E fustiga vecchi e nuovi protagonisti di quel teatrino degli orrori che l’indecenza si limita a chiamare, con estremo sforzo di cordialità e formalità, politica. In primis chi, da quella stagione delle stragi, ha approfittato del vuoto politico: Silvio Berlusconi: “Il nostro Presidente del Consiglio – si meraviglio Borsellino – ha detto che ci sono Procure che sperperano i soldi pubblici per vecchie storie. Ma le lacrime non si sono ancora asciugate sul selciato di Via D’Amelio”.

LA DELUSIONE. Sforna delusione, Salvatore. In questi anni, il dolore l’ha segnato. Dopo il quinquennio 1992 al 1997, ha trascorso dieci anni in silenzio. Lontano dalle testimonianze, lontano dalla gente, muto ed assente, scorato e “senza speranza”. Lacerato dalla voglia di verità e impietrito dall’impotenza del cittadino semplice. Ricorda i tempi in cui la mafia veniva negata, quel frangente in cui la Chiesa la considerava “un’invenzione dei rossi per mortificare la nostra bella Sicilia” e Vito Ciancimino praticava una sorta di trading collettivo di convincimento finalizzato ad inculcare ad una comunità intera la falsità della propaganda giustizialista. E constata che quei tempi sono anche oggi. Nelle negazioni del sindaco di Milano Letizia Moratti, nel furore di Roberto Formigoni che inveisce contro Vendola che rinfaccia la presenza della ‘ndrangheta negli appalti meneghini, nei Prefetti che storcono la bocca e girano il capo dalla parte opposta. Parla espressamente di “quattro regioni (Sicilia, Calabria, Campania, Puglia) che sono state sacrificate dalla Nazione alla mafia per tramutarle in un bacino elettorale sicuro, da sfruttare per governare altrove”.

L’AGENDA. Soprattutto, torna sulla questione dell’agenda di suo fratello Paolo. Quella che ha dato il nome ad un movimento popolare profondamente opposto al sistema criminale e mafioso. Quella che, per usare le parole di Gioacchino Genchi, è “la scatola nera della seconda Repubblica” e che, rincara la dose Borsellino, “è nelle mani di qualcuno ancora adesso”. Qualcuno che “la utilizza come strumento di ricatto politico incrociato”. Come una “minaccia”, una pistola alla tempia, una garanzia d’impunità. Come la carta del Monopoli: “Esci gratis di prigione”. Solo che, in questa sporca storia di fine millennio, ci sono tante bare e poche sbarre.

Link: Stato Quotidiano

Maurizio Crozza 10 – Ballarò, 26 aprile 2011

Un giorno dopo… 25 aprile

Moby Prince, 20 anni dopo

(Colei che la mia vita ama più di se stessa)

Fratello è un killer, è un assassino “periferico” al soldo del Professore, boss della ndrangheta di serie B, scadentuccio e in decadenza con un nome che irrimediabilmente richiama all’iconografia poco fantasiosa dei clan cresciuta a pane e sbruffonici filmacci.

Fratello ha una pistola, un solo amico che si chiama Nino, una morale tutta sua e ricordi che si inframezzano al racconto di quello che deve essere il suo ultimo omicidio, è stato un bambino solo, figlio di un padre violento, è stato un ragazzo schivo che avrebbe voluto segnare il mondo con l’inchiostro, rigarlo con parole che vanno a fondo.

Il piombo dei proiettili su commissione ha sostituito i colpi da infliggere con la penna, la sua verità si è dispersa nelle polveri di una Catanzaro dolorante e offesa, è un killer adesso, e ciò che sa dare è violenza e morte, sopruso e vendetta, la scrittura non lo ha salvato, ha ucciso una volta, poi due, poi tre, poi ha perso il conto, poi tutto è uguale, un rito prima adrenalinico poi piatto, senz’aria e senza odore.

Adesso gli restano un insano senso di onnipotenza, una dipendenza dal sangue altrui che sgorga e macchia i marciapiedi, e le farfalle, quelle che Fratello vede sempre prima di un omicidio, un elemento costante ed etereo che stona con la violenza che in quel momento gli circola nella mente.

Le farfalle in questo sorprendente romanzo di Francesco Aloe (Il vento porta farfalle o neve) edito da Verdenero, portano morte e consapevolezza, volano ben al di là dell’ assolata Calabria per rincorrersi tra Spagna e Marocco, negozi di tappeti e corse di tori, omicidi descritti con la perizia del miglior Quentin Tarantino possibile, in un turbine di fantasia letteraria che impatta improvvisa contro la realtà più cruda del nostro assurdo bel paese.

Una data, il 10 Aprile 1991 che Fratello non conosce, era solo un bambino, ne ha un vago triste ricordo, corpi lasciati morire tra le fiamme, Livorno, il Moby Prince e il mistero che molti hanno voluto divenisse silenzio.

Aloe lo scuote e lo squarcia con i documenti e le testimonianze, con la triste epigrafe dei nomi di chi è morto in una trappola di fuoco sull’acqua, con le parole di chi come Luchino Chessa (Associazione 10 Aprile-Familiari delle vittime del Moby Prince), sa come si vive quando un’ intera esistenza viene stravolta in un battito di ciglia, e gli occhi si riaprono sempre sullo stesso scenario da incubo.

In questo romanzo si corre a scavezzacollo, le parole si susseguono nervose e rapide, Fratello, Nino, sangue, omicidi e poi si frena, pericolosamente contro l’abbacinante muro di gomma dei fatti insabbiati e infuocati, mare, fiamme, petrolio, elicotteri che scompaiono in una nebbia improvvisa, una serata di primavera che diventa una notte di terrore, soccorsi che non arriveranno mai, morte e morti. 140, uccisi.
Francesco Aloe, Il vento porta farfalle o neve, Verdenero 2011
Giudizio: 4 / 5 – Impossibile da centellinare

Ciao Rocco, ti voglio bene (Franco Dicesare)

E’ una Pasqua triste, intorno a noi c’è una brutta aria, difficoltà economiche, difficoltà politiche, guerre, tensioni di ogni genere. C’è fame di Persone per Bene. C’è bisogno di Persone che nella loro umiltà trovino la loro grandezza, di Persone che attraverso il loro esempio spronino, gli altri, tutti, a fare meglio per il bene comune, per la tutela delle classi deboli, della gente comune, di chi crede ancora che la Pace, il Lavoro, la Democrazia, i Diritti, il Progresso, la Solidarietà siano valori per cui vale la pena impegnare la propria esistenza.

Nonostante il bisogno che abbiamo di Persone per Bene in questa Italia e soprattutto in questa Città, martoriata da mafie e lobbysti, ancora una volta il destino ci mette di fronte a quelle prove che fanno vacillare la nostra fede, il nostro credo, le nostre speranze per un mondo migliore.

Rocco Laricchiuta, ci ha lasciato, aprendo un vuoto, che a chi lo ha conosciuto sembra incolmabile.

Prima che il tempo cancelli dalla memoria il suo volto sorridente di amico e compagno, sempre disponibile a spendersi per la politica e per tutte le persone bisognose delle sue cure, voglio raccontarvi chi è Rocco.

Innanzi tutto è un Uomo Libero, non ha mai sopportato imbrigliamenti di qualsiasi tipo, è sempre stato un personaggio scomodo per le Segreterie di Partito e per le conventicole del potere.

Per Rocco la Politica era andare incontro alla gente comune, a Lavoratori e Lavoratrici, in pieno rispetto della idea Socialista (in senso ottocentesco) che lo ha sempre guidato.

Il suo altruismo, la sua generosità, la sua discrezione, ma anche la sua caparbietà, la sua decisione, sono le qualità che lo hanno reso “amato” da molti Foggiani. Passeggiare con Rocco significava fermarsi ogni dieci metri a salutare conoscenti, non si riusciva mai a finire un discorso, perché subito si incontrava qualcuno che te lo impediva. Per questo ci incontravamo nel suo studio, perché lui non era proprio capace di salutare frettolosamente qualcuno, per lui ,tutti meritavano la sua attenzione e visibilmente si dispiaceva quando non riusciva a scambiare due chiacchiere con chi lo conosceva.

Un amico di tutti.

Spesso Rocco, scherzosamente, si è vantato di aver fatto con poche centinaia di euro le sue campagne elettorali, senza manifesti, senza comitati elettorali, senza sprechi di ogni genere, un metodo che si rivelerebbe fatale per qualsiasi altro politico, invece lui ha dimostrato che una politica pulita, con alto profilo etico è possibile e per questo ha avuto sempre il sostegno di tanti e convinti Cittadini.

Il suo legame con il popolo è stata la sua forza, un legame che si è cementato in anni di professione medica, ma anche in anni di posizioni in favore delle persone umili.

Per molte di queste Persone si trattava di una fede, di un esempio da seguire, di una amicizia importante da onorare, perché chi si è battuto per te per le tue ragioni e merita di continuare a rappresentare i Cittadini.

Rocco è uno di noi, che non ha mai dimenticato di esserlo e su questo suo essere semplice e alla mano ha costruito la sua autorevolezza.
La sua forza d’animo, il suo spirito libero, lo hanno reso sempre pronto a ricominciare di nuovo a ripartire anche da posizioni non vantaggiose pur di conservare la propria autonomia, la propria libertà di pensiero.

Per questo ha voluto fortemente creare e far parte della Lista Mongelli, non solo per contribuire alla elezione di un amico, quale Gianni Mongelli, ma per cercare di portare in Consiglio Comunale un Progetto sinceramente unitario e di Sinistra.

Iscritto alla CGIL e fondatore del Circolo Rosa Luxemburg di Sinistra Ecologia e Libertà, ha avuto il cuore sempre a Sinistra, quello della Sinistra è stato sempre il suo elemento distintivo, il suo discrimine, perché per Rocco la Storia del Socialismo Italiano è la Storia di Nenni, Pertini, Lombardi, di chi cioè ha dato tutto se stesso al Movimento Operaio Internazionale ed alla Resistenza.

Ho conosciuto Rocco per la nostra comune esperienza in Sinistra Democratica poi confluita in Sel e spesso ho affrontato serene discussioni sul futuro della Politica in Italia, lui aveva due crucci, soffriva molto per la divisione della Sinistra e per il modo in cui in Italia sono trattati i Giovani.

Tutte le sue forze negli ultimi anni della sua attività politica le ha dedicate a mandare avanti un processo di riunificazione della Sinistra che partisse dal rinnovamento della attuale classe dirigente.

Anche in questo ha evidenziato la sua generosità, il suo attaccamento all’idea, la sua voglia di mantenere viva e alta la bandiera dei Padri Costituenti.

Il suo attaccamento alla Famiglia, a sua Moglie, ai suoi Figli, è ancora un esempio della sua capacità di leader e nello stesso tempo di compagno fedele, che è riuscito a mantenere distinti, i mondi della politica e della sfera Familiare e dei sentimenti.
La dignità con cui ha vissuto il suo dramma personale, raccolto con i suoi cari, ci impone un rispetto ed una attenzione particolare, per il dolore che la sua Famiglia sta vivendo.

Rocco, ci ha lasciati, ma il suo esempio le sue idee ci accompagneranno nel lungo cammino che questo Paese dovrà fare verso la Democrazia, verso il Progresso.

Ciao Rocco ti voglio bene.

LINK: Stato Quotidiano, editoriale

Maurizio Crozza 9 – Ballarò 19 aprile 2011

Gaza, svolti i funerali di Vik (da Nena news, agenzia Medio Oriente)

Si sono svolti a Gaza City oggi, i funerali ufficiali del pacifista Vittorio Arrigoni. La salma del volontario, attivista e giornalista assassinato nella Striscia di Gaza, ha lasciato l’ospedale Al Shifa di Gaza, trasportato sulle spalle da un gruppo di uomini della sicurezza palestinese, ha sfilato per le vie di Gaza City, e ha poi raggiunto il valico di Rafah, dove si è tenuta un’orazione funebre in suo ricordo. Una folla enorme ha partecipato al funerale e ha seguito poi il feretro fino a Rafah.

Nena News vi propone le foto della cerimonia al valico di Rafah (con l’Egitto) e quelle della veglia funebre che si è tenuta al Gallery, il locale che Vittorio frequentava spesso.

Riceviamo e pubblichiamo dall’Associazione Zattar un video è stato realizzato da Mohammed Almejdalawi- assistente e responsabile alla documentazione del  progetto a Gaza “Let’s Learn English”.

http://vimeo.com/22504253

Fidel in occasione del 50° anniversario di Playa Giron

Tuve hoy el privilegio de apreciar el impresionante desfile con que nuestro pueblo conmemoró el 50 Aniversario de la proclamación del carácter Socialista de la Revolución y la victoria de Playa Girón.

También se inició este día el Sexto Congreso del Partido Comunista de Cuba.

Disfruté mucho la narración pormenorizada y la música, gestos, rostros, inteligencia, marcialidad y combatividad de nuestro pueblo; a Mabelita en la silla de ruedas con el rostro feliz, y a los niños y los adolescentes de La Colmenita multiplicados varias veces.

Vale la pena haber vivido para el espectáculo de hoy, y vale la pena recordar siempre a los que murieron para hacerlo posible.

Al iniciarse esta tarde el Sexto Congreso pude apreciar, en las palabras de Raúl y en el rostro de los delegados al máximo evento de nuestro Partido, el mismo sentimiento de orgullo.

Podía estar en la Plaza, tal vez una hora bajo el sol y el calor reinante, pero no tres horas. Atraído por el calor humano allí presente, me habría creado un dilema.

Créanme que sentí dolor cuando vi que algunos de ustedes me buscaban en la tribuna. Pensaba que todos comprenderían que no puedo ya hacer lo que tantas veces hice.

Les prometí ser un soldado de las ideas, y ese deber puedo cumplirlo todavía.

(Fidel Castro)