“Io immagino un Partito Democratico che sia un po’ come l’Attacco”. Guglielmo Minervini, Assessore alla trasparenza della Regione Puglia, candidato alla segreteria regionale, entra nella metafora giornalistica per illustrare la sua idea di partito. Raggiunge la redazione del nostro quotidiano verso le 11, dopo aver presentato, presso l’Aula Magna della facoltà di Economia, il progetto “Ni, mondlokaj civitanoj”, traduzione esperanto di “Noi cittadini globali – locali”, un meeting pensato dalla Regione Puglia per mettere in correlazione, tra di loro, le giovani generazioni dei paesi del bacino mediterraneo e di tutto il mondo. Il che rientra alla perfezione nella visione politica che Minervini intende riportare nel Pd.
Partiamo da questo punto, dalle energie vitali che lei intende potenziare. Se la sente, Assessore Minervini, di fare una mappatura del territorio sotto questo punto di vista? Dove ha individuato, nel territorio pugliese, i mondi più vitali?
Noi abbiamo in tutti gli ambiti delle potenti energie di cambiamento. La Puglia, in questo senso, è un pezzo anomalo di Sud. Non è una regione devitalizzata come la Calabria e nemmeno una regione fortemente corrotta come la Campania. È una regione in cui i margini per vivere un cambiamento nel tessuto della società ci sono tutti. Sul territorio operano tutta una serie di esperienze interessanti che azzarderei a definire trasversali rispetto a competenze. Per esempio, in questi anni ho frequentato molto il reticolo di cittadinanza attiva che rappresenta un pezzo sano della società pugliese. Così come c’è un economia del cambiamento e dell’innovazione molto più ricca di quella che percepiamo, in quanto quella che percepiamo è filtrata, in maniera egemonica, dalla cosiddetta bad economy, che è l’economia di tipo tradizionale. Un’economia che non si arrende alla sua fine.
Quando dice bad economy si riferisce, sostanzialmente, all’economia trainante del mattone o a quella della sanità?
Sostanzialmente si. Uso il termine bad economy per definire quel pezzo dell’economia che si muove a ridosso della politica, legata alla politica e ai trasferimenti di risorse. È un’economia anomala che non si misura, in effetti, con il mercato. È mercato per così dire. Ai margini di questa economia che svolge una funzione egemonica, fa cultura, crea ed è un modello, sono sorte in questi anni tutta una serie di esperienza interessanti, dall’economia della conoscenza alla green economy che non creano ancora cultura, ma stanno facendo passi da gigante. Sono la risposta più avanzata al contributo che la Puglia può dare al superamento di questa crisi. Così come un altro soggetto che ritengo fondamentale nel cambiamento sono i giovani. In questi miei quattro anni e mezzo alla Regione ho mostrato che lì ci sono i presupposti culturali per il cambiamento. È una generazione che si porta dietro un’assenza di memoria. Il che renda più agile e dinamico lo sguardo alle sfide del nostro territorio. Uno sguardo rivolto unicamente al futuro, svincolato ed emancipato rispetto al passato. Quello che è mancato in questi anni è la costruzione di un luogo politico in cui questa Puglia del cambiamento potesse sentirsi accolta. Purtroppo, ancora oggi, abbiamo una politica ancora troppo attenta a quell’altra idea di economia.
Che consapevolezza hanno, del loro ruolo, nuova economia, giovani e reticolo associativo in cui lei legge la speranza?
Purtroppo manca la consapevolezza dalla missione da svolgere. Questi tre soggetti sono riconosciuti socialmente. Ma la Puglia parte da tre se il taglio trasversale incide non solo sulle attività ma anche sul territorio. Secondo me i soggetti enzimi del cambiamento li trovi nei gruppi ed anche negli ordini professionali, così come nelle comunità locali. Quello che manca è la capacità di mettere insieme questi elementi in una visione dio futuro condivisa. E questo è il compito della politica.
È anche questa la battaglia dentro il Partito Democratico?
Assolutamente si. Io penso che in Puglia il luogo politico del cambiamento o è il pd o non c’è da altrove. È il bisogno inespresso che il pd ha il dovere di occupare. Ma per farlo deve rompere una serie di legami che lo ancorano ai mondi della conservazione.
Questo è quello che diceva ieri (due giorni fa per chi legge, ndr) in un’intervista rilasciata a Repubblica quando parla del pd come “partito dei faccendieri”?
Certamente. Ma quando dico faccendieri, non mi interessa il rilievo penale. Mi interessa il rilievo politico. Io sono più incuriosito dalla scoperta di un principio attivo che mette in campo, che so, interessanti proposte sul terreno dell’eolico, come il caso di due ingegneri che stanno tentando di capire se si può ideare una pala eolica orizzontale, piuttosto che dal faccendiere che viene a sedurmi con una cena piuttosto gradevole. Ecco, allora il punto è su chi ti poni come interlocutore politico.
Lei non dice questo, in qualche modo, con il suo discorso: cioè che il Meridione, e la Puglia in particolare deve partire dall’individualità, dal nome e cognome, dalla persona capace, dal professionista virtuoso, che c’è una scorciatoia dettata dalle biografie personali?
Io penso che il cuore del nostro discorso siano le persone. Il problema è che noi non siamo più in grado di parlare alle persone e con le persone. Le persone sono la risorsa fondamentale del territorio e del cambiamento. Se non ricostruiamo la politica come la ricostruzione delle relazioni tra le persone, come modo per ringalluzzire il senso di comunità, allora il meridione rimane imbrigliato. Il problema è che non abbiamo mai immaginato il Mezzogiorno come un gigantesco investimento sulle persone. Sotto questo punto di vista, il progetto regionale Bollenti Spiriti è stato l’indicazione della strada maestra lungo cui spingersi. In questo modo hai dato fiducia alle energie dei ragazzi, fatto in modo che le tirassero fuori e si è innescato il cambiamento. È la dimostrazione di come una generazione intera, e non il singolo giovane, può divenire un soggetto sociale.
Tuttavia ci sembra di riscontrare una diffusa crisi di fiducia. La nostra sensazione è che se ne possa venire fuori ripartendo dalla credibilità e affidabilità delle storie personali. Insomma, ci sembra di capire che il Mezzogiorno possa ripartire (se si riparte) da qui, da biografie agili e spesse al contempo. Che ne pensa?
Questa idea che si riparta dalle persone che mettono in gioco la propria credibilità non è estranea alla crisi della politica. Anche lo spazio della politica si sta affollando di persone che fanno della circolazione delle idee il proprio profilo d’interesse. E la politica recupera credibilità nel momento in cui la suo interno inizia a crescere il numero di persone che rispondono a quel bisogno sociale diffusissimo di coerenza. Le persone, infatti, non ci chiedono di essere brillanti su tutto, ma di essere coerenti: che quello che dici fuori corrisponda a quello che fai quando sei in una postazione di gestione.
Sa dare un volto, in Puglia, alla Puglia che funziona, al di là dei ragazzi di Principi Attivi?
Qualche giorno, per esempio, a Polignano, mentre ero con Ermete Realacci, si sono presentati due giovani imprenditori agricoli (si interrompe: Occhio a quello che sta facendo in questo momento la Coldiretti, sta tentando di far venir fuori processi interessanti) che si sono posti la questione di come ridurre l’impatto ambientale dei tendoni delle loro vigne. Mettendo insieme qualche amico chimico hanno creato dei cellophane totalmente biodegradabili per la copertura dei tendoni. In quella stessa zona sono partiti anche i primi esperimenti per piazzare sui tendoni i pannelli fotovoltaici. Si stanno studiando soluzioni per ampliare il riscaldamento dei pannelli. Insomma, quando si parla di cambiamento, quando si parla di futuro, si parla di questo.
Questo è il futuro, poi c’è il passato. Parlavamo prima della sua intervista e dei “faccendieri”. Ci aiuta a capire dove, come si annida il partito dei faccendieri del Pd e quali sono le logiche? Anche Emiliano, da noi intervistato durante la sua visita a Foggia, ha denunciato chiaramente questo grumo interessi, tentando di recuperare alla politica quel ruolo di ascolto e di mediazione, mentre oggi appare la sensazione di questo impasto inestricabile tra ragioni della politica e quello dell’impresa…
(interviene) di un certo tipo di impresa che ha bisogno della politica per agire sul mercato. L’immagine che considero emblematica di questo evo politico che stiamo vivendo è proprio quella di Giampaolo Tarantini. Credo che sia un’immagine destinata a svolgere questo ruolo di simbolo in quanto lì dentro c’è questo impasto inestricabile. Lì dentro sono ammucchiati tutti gli attori che in un contesto sano sarebbero chiamati a svolgere ruoli distinti in una relazione dialettica. Lì, invece, hai il potere politico, un pezzo di gestione del potere sanitario – e già tra questi due attori occorre mantenere una dialettica chiara che permette di distinguere i due ruoli – e l’economia parassitaria. Generare questa commistione di ruoli, assumendo come interlocutori privilegiati quegli imprenditori di questo sistema, è la premessa per la degenerazione. Io dico così: in cene come quelle si firmano le cambiali. Poi non mi interessa chi, quando, con rilevanza penale o non con rilevanza penale, onora quelle cambiali, ma lì c’è la radice di un problema molto serio con cui noi dobbiamo fare i conti ma con il quale non abbiamo intenzione di fare i conti. Su questo vogliamo dire parole chiare? Visto che ci accingiamo anche a giocarci una campagna elettorale in cui la questione morale avrà un ruolo rilevante?
Ma Tedesco non è stato proprio questo paradigma, una reductio ad unum?
Sulla sanità c’è stato un peccato originale politico a monte. Noi abbiamo usato coraggio dappertutto, ma nella sanità abbiamo scelto la prudenza, la continuità. Tutto deriva da questa scelta. Dalla nomina dell’assessore fino ad una serie di decisioni anche interne al sistema sanitario. Io penso che gli eventi ci debbano indurre ad una sana ammissione dell’allora compiuto. Per quel che mi riguarda credo che quella scelta sia stata un errore.
Insomma, Tedesco era insieme politica, impresa, finanza politica… Era tutto dentro. In questo senso noi abbiamo un esempio anche in Capitanata. Noi abbiamo più volte raccontato di un’operazione del segretario provinciale del pd, Paolo Campo. Il sindaco di Manfredonia, detto brutalmente, sta creando una banca, con pezzi di ceto imprenditoriale di Manfredonia e le lobby del mattone foggiane. La sensazione è che sia tutto dentro… E cioè che Campo sia il partito, la politica, le imprese, la finanza…
Quando finisce la dialettica dei ruoli finisce anche la vitalità della democrazia. Questo tipo di commistioni creano l’assopimento delle energie. Servendosi di queste dinamiche, il potere depriva gli altri della capacità d’azione. Sono meccanismi di spoliazione del territorio. La ricchezza e la democrazia crescono nel momento in cui ciascuno fa la sua parte. Questa situazione che mi viene descritta è la palese dimostrazione del fatto che non siamo ancora capaci di individuare il tema. Stiamo eludendo la sfida che la questione morale ci pone di fronte. Ed è un tema, lo ripeto, squisitamente politico. La domanda, quindi, è questa: qual è il ruolo che ti assegni all’interno del cambiamento sul territorio? È un ruolo che ha un profilo chiaro, certo, netto o un controllo ipertrofico sull’intera società? In coloro che vivono questa dimensione ipertrofica della politica, c’è una lettura, una visione arcaica della società. In mente hanno un’idea vecchia, di una società povera, priva di energie, di una società così spoglia che si può pensare di sottoporla ad un controllo assoluto. Io credo, e questo è uno snodo cruciale della mia battaglia congressuale, che siamo di fronte ad una Puglia vitale, dinamica, ricca di energia. Insomma, adesso, siamo di fronte ad un bivio: ci sono due visioni del partito, due visioni della politica.
Senta, tornando al pd. Girando per la Capitanata ha riscontrato delle esperienze positive?
Qui da voi c’è un pezzo di ambientalismo del Gargano che sta conducendo una battaglia nobile ed innovativa. Dovessi citare un esempio di bella amministrazione che lavora alacremente, direi Sannicandro Garganico, con Costantino Squeo. E per me anche Aldo Ragni è stata una scoperta in positivo. Anche in Capitanata, insomma, ci sono forze positive che stanno vivendo questa nostra vicenda congressuale per creare rete.
Quindi il congresso più come opportunità di articolazione politica che come selezione delle classi dirigenti?
Entrambe le cose. Nel momento in cui costruisci questo discorso politico, selezioni quelli che ci stanno, che si sintonizzano. È un cammino grazie al quale stiamo già iniziando la ricostruzione.
Parlava prima di questione morale. Il centrodestra che domani (oggi per chi legge, ndr) dovrebbe presentare ufficialmente come suo candidato presidente per la corsa alla Regione Stefano Dambruoso, non vi ha spiazzato?
Assolutamente si. Dal punto di vista politico è una scelta molto intelligente. Per questo arrivare claudicanti o, peggio ancora, fare gli struzzi sulla questione morale, significa mettersi nelle condizioni di gestire una campagna elettorale tutta in salita. Abbiamo il dovere di guardare in faccia il problema, riconoscere l’errore e dimostrare che nel pd c’è la lucidità per superarlo. Nel partito come nella coalizione. Ma se da parte di Vendola questo segnale è arrivato, il partito non sembra aver voglia di darne uno a sua volta. È questo è il modo peggiore di gettarci alle spalle una brutta pagina per ricominciare in modo nuovo.
Che futuro vede per Nichi Vendola? Enrico Santaniello, ieri, lo considerava ancora fortissimo…
Vendola sarà il Presidente della Regione 2010 – 2015.
E politicamente? In quale processo lo inquadra?
Più il pd realizza sé stesso, più il pd incarna il senso di quella sfida, di quella scommessa, di quella speranza che ha suscitato agli esordi, più si riducono le distanze che lo separano dal presidente e da tanti che, come Vendola, in fondo sono alla ricerca di un grimaldello con il quale aprire un orizzonte nuovo.