Arresti Fenice. Comunicato Comitatocontro inceneritori Foggia et al

E va bene, li hanno arrestati. Sigillito e Bove sono a casa, in custodia cautelare, arrestati come gli unici colpevoli di questo disastro ambientale chiamato Fenice. Non si può essere contenti. Non si gioisce mai di fronte ad un provvedimento d’arresto. Specie poi, se, ad esserne colpiti, sono coloro i quali, per anni, hanno avuto il compito di vigilare sulla nostra sicurezza, sulla salute.

Insomma, siamo stati traditi, noi cittadini, non già da chi avvelena, ma da chi avrebbe dovuto, con noi e per noi, evitare che questo accadesse. E tutto questo lo sapevamo già. Lo sapevamo prima che lo dicessero i giornali nazionali, lo sapevamo già prima che uscissero le carte e che uno strano incendio desse fuoco ad una parte dell’impianto melfitano. Anzi, non soltanto lo sapevamo. Ma lo dicevamo, accodandoci alle voci fortissime del Comitato Diritto alla salute di Lavello e all’associazione Ola che, insieme a quella di Maurizio Bolognetti, hanno urlato per fermare uno scandalo immane, grande così. Lo dicevamo partecipando alle manifestazioni organizzate a Lavello e a Cerignola, dove il gruppo Marcegaglia sta mettendo in atto una follia non dissimile da quella Edf. Lo dicevamo con il nostro impegno concreto, nel quotidiano, nelle mille domande rivolte a chi di dovere, nelle continue prese di posizione che ci hanno resi invisi anche a quelli che, un tempo, si proclamavano amici.

Ma c’è una cosa di cui diffidiamo: dei facili entusiasmi. Non è la prima volta che una Procura focalizza l’attenzione sull’inceneritore di Melfi. E, se già una volta (grazie anche a procuratori dai comportamenti strani), è stato silenziato tutto, il pericolo più grande è di trovarsi di fronte ad un nuovo caso di insabbiamento. I due arresti dei due dirigenti Arpa ci sembrano un contentino, un dare alla folla ciò che la folla vuole, per non andare più a fondo. Significa togliere il grasso dalla superficie mentre, all’interno, i batteri continuano ad operare, sgretolando la società civile con i denti di morte. Un dente si chiama arsenico, uno nichel, uno manganese, uno ferro, uno benzene. E se Bove e Sigillito hanno la grandissima responsabilità di aver appoggiato questo stato di cose, non possiamo fare a meno di chiederci chi, invece, queste cose le muove. E perché non cali su di loro la mannaia della giustizia con la stessa, durissima, mano con cui è caduta sui due Dirigenti regionali. Che, detto fino in fondo, sono semplicemente i capretti sacrificali dei bagordi pasquali dei mammasantissima della multinazionale francese”. “Perché, ricordiamo a chi fa festa prematuramente, di fronte agli incendi, alle carte, alle rivelazioni, persino agli arresti, l’impianto mortifero continua ad operare, imperterrito, come niente fosse. Vanificando l’idea stessa di giustizia e sacrificandola, per l’ennesima volta all’altare dell’interesse.

(Firmato: Comitato contro gli inceneritori Foggia – Acli ambiente – Anni Verdi – Verdi Ambiente Società –VAS – Legambiente, Rifondazione Comunista)

Potenza, svolta Fenice. Arrestati Sigillito e Bove. “Dati mai comunicati”

Inceneritore La fenice (pietrodommarco.it)

Potenza – Vincenzo Sigillito, ex direttore dell’Arpab (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata) e Bruno Bove (coordinatore Arpab prvincia di Potenza) sono stati appena arrestati. Si trovano ai domiciliari. Il gip di Potenza, Tiziana Petrocelli, su richiesta del pm Salvatore Colella, ha inoltre disposto il divieto, per due mesi, di ricoprire cariche direttive per l’attuale e l’ex procuratore responsabile dell’impianto, Mirco Maritano e Giovanni De Paoli.

Già alla fine di settembre erano circolate voci su avvisi di garanzia emessi sulla questione dell’inquinamento provocato dal termodistruttore La Fenice di San Nicola di Melfi. La società che gestisce l’impianto, la francese Edf, è indagata. Intanto, ieri sera, dagli schermi di Canale 5 la ministra Stefania Prestigiacomo ha promesso ricorso all’Istituto Nazionale della Sanità.

LE ACCUSE – Nel mirino degli inquirenti, quanto evidenziato tempo fa proprio da Stato. Ovvero, l’Arpab, pure essendo in possesso dei dati, ne evitava la diffusione. Non solo ai cittadini ed all’associazionismo, ma, cosa ancor più grave, agli stessi Enti del territorio. Il tutto, schermando, di fatto, le attività dell’inceneritore Edf. La Procura, anche se con notevole ritardo, ha inoltre ascritto agli imputati (avrebbe potuto farlo anni fa), il “pericoloso inquinamento” della falda acquifera sottostante l’inceneritore, alterata da metalli pesanti e componenti organiche.

DON MARCELLO COZZI, LIBERA: “ACCERTARE RESPONABILITA'” – “La magistratura ha tutti gli strumenti per andare fino in fondo e per scalare le gerarchie politiche e tecniche che hanno responsabilità a vario titolo, ma continuiamo a chiederci: quanta gente ancora in Basilicata deve rimetterci la vita prima che le istituzioni locali possano finalmente prendere coscienza che le denunce dei cittadini, in questi casi, vanno prese sul serio invece di essere tacciate di proclami allarmistici? Chiediamo di sapere quali sono gli affari che si nascondono dietro i silenzi lucani sull’avvelenamento dell’ambiente”. Lo afferma in un comunicato don Marcello Cozzi, responsabile di “Libera” Basilicata. “Il lavoro della magistratura – aggiunge – dovrà fare il suo corso ma in qualunque direzione andrà, è doveroso prendere coscienza che le persone che nel frattempo si sono ammalate o che ci hanno rimesso la vita, prima ancora di essere vittime di una malattia, vengano considerate vittime del malaffare”

RESTAINO, REGIONE BASILICATA: “SONO SERENO” – “Ho ricevuto questa mattina un invito a presentarmi al Pm in relazione ad un’inchiesta nella quale risulto essere indagato. Le ipotesi per le quali sono in corso accertamenti a mio carico riguardano la gestione operativa dell’Arpab, mentre non c’è alcun collegamento con le ipotesi di reato della vicenda Fenice. Segnatamente, si ipotizza un mio ruolo nel consigliare l’allora Direttore generale dell’Agenzia su come ottenere finanziamenti dalla Regione, nelle attività di reclutamento del personale presso la stessa Arpab e nella difesa dell’agenzia, attraverso un comunicato stampa diramato a seguito dell’audizione del Direttore generale presso la terza commissione consiliare. Nel dichiararmi assolutamente sereno anche per l’occasione di poter chiarire che mi viene offerta, esprimo piena fiducia in quanti stanno effettuando gli accertamenti per le vicende che mi riguardano e per le ipotesi più inquietanti a carico di altri, convinto che l’accertamento della verità sia un interesse superiore e comune a tutti”

LA DIFESA DI ARPAB: “ALTERAZIONI PER MESSA IN SICUREZZA” – Nel sito “Fenice” è in atto una attività di Messa In Sicurezza di Emergenza (MISE) tramite emungimento da pozzi barriera (22 pozzi serie 100). Lo rende noto in un comunicato l’Arpab (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente di Basilicata).
Nella valutazione dei dati relativi al monitoraggio delle acque sotterranee nell’area del termodistruttore – posegue la nota – non si può prescindere dal considerare i numerosi fattori che influenzano il risultato analitico stesso, quali ad esempio:
• i continui interventi di MISE influiscono modificando i flussi sotterranei; il crescente emungimento dai pozzi di MISE determina una scarsità di acqua all’interno dei pozzi P1-P9 previsti dal piano di monitoraggio con conseguente difficoltà di campionamento. Da ciò potrebbe scaturire la presenza di superamenti delle CSC dei parametri oggetto del monitoraggio nonchè la comparsa di nuovi occasionali superamenti (arsenico e 1,2,3-tricloropropano a maggio 2011, ferro e benzene a settembre 2011);
• particolare attenzione va posta nell’analisi critica dei dati che riguardano i composti volatili (tricloroetilene, tricloroetano, ecc…). Questi composti sono molto sensibili alle variazioni che subisce il sistema ad opera degli emungimenti e degli impianti pilota utilizzati per testare le tecnologie di bonifica. La variabilità della loro distribuzione nei vari punti ed i relativi valori di concentrazione non consentono di effettuare precise valutazioni;
• ovviamente solo a valle della bonifica del sito si potrà dare piena e chiara lettura dei dati provenienti dai pozzi di monitoraggio P1-P9 pubblicati sul sito istituzionale dell’Agenzia.
Tra le ulteriori considerazioni che possono essere fatte sulla complessa problematica del sito è bene evidenziare che:
1. i composti relativi al processo industriale sono monitorati;
2. tutti i superamenti delle CSC sono monitorati;
3. nuovi superamenti delle CSC si possono avere per concentrazione degli inquinanti in punti di richiamo come i pozzi;
4. nuovi superamenti delle CSC si possono avere per fenomeni di degradazione di alcuni contaminanti;
5. eventuali, improvvisi ed elevati valori potranno essere legati al particolare tipo di intervento di bonifica che si andrà a porre in essere.
Valutazioni attendibili vanno espresse paragonando ampi periodi di monitoraggio. Considerazioni aventi per riferimento periodi limitati o peggio raffronti mensili – conclude l’Arpab – sono fuorvianti e non rappresentano significativamente la reale situazione del sito contaminato.

MAZZEO: “CHIUDERE FENICE IN ATTESA DI RISCONTRI” – “In attesa di avere tutte le risposte inerente al problema inquinamento prodotto da Fenice, alla realizzazione del progetto di bonifica, che sarà solo presentato il prossimo 18 ottobre, e la messa in essere di veri e sicuri meccanismi di controllo su tutte le emissioni, è opportuno sospendere l’attività del termovalorizzatore, nel pieno rispetto delle leggi vigenti”. E’ quanto afferma il vicepresidente del Consiglio regionale, Enrico Mazzeo (Idv) in un intervento inviato oggi alla stampa locale. Mazzeo lamenta “troppe inadeguatezza degli organi tecnici, ma anche in primo luogo della politica che ha stentato e stente a controllare e prendere decisioni chiari ed efficaci. ‘L’esortazione’ del ministro dell’Ambiente ai responsabili, ai diversi livelli, per la chiusura di Edf Fenice, deve essere interpretata come una sconfitta per tutti noi, maggioranza ed opposizione. Il centro sinistra ha il dovere di arrivare a conclusioni univoche e condivise, evitando decisioni divergenti e contraddittorie, con le politiche declamate a livello nazionale”

Fenice, lo stillicidio continua. A settembre anche ferro e benzene

L'area della Fenice; in rosso, i pozzi di emungimento (googlemaps)

Lavello (Potenza) – QUESTA volta – come se fosse la prima – si è reso necessario spingere forte sull’acceleratore per ottenere la pubblicazione dei dati relativi al monitoraggio delle acque dei pozzi a valle dell’inceneritore Fenice. Evidentemente, la pubblicazione delle ‘carte nascoste’ e l’incendio scoppiato una decina di giorni fa (c’è stata un’interrogazione parlamentare della radicale Elisabetta Zamparutti), hanno tramutato queste settimane in una pentola a pressione stracolma di acqua già bollente. Il caso Fenice è divenuto caso nazionale. Oltre all’anunciato ritorno di Striscia la Notizia, si è occupato dell’inceneritore melfitano anche il sito web del quotidiano La Repubblica. Un’inchiesta, quella di Repubblica, che non ha aggiunto nulla di sconvolgentemente nuovo, tornando a ricalcare i passi della (mala) gestione decennale di Edf. Ma anche delle reticenze di Arpab, Asl e Procure di Melfi e di Potenza e riducendo quasi a zero l’invece immane lavoro condotto sul terreno da ambientalisti e Radicali.

ECO CAPITANATA – Intanto, mentre la diffusione della notizia va avanti con insistenza, le carte pubblicate oggi da Via della Chimica confermano l’esizialità di Fenice. L’impianto continua ad inquinare a piene mani, indipendenetemente che gli scheletri emergano o meno dagli armadi. Finora, tranne il sindaco di Melfi Valvano e poche associazioni, nessuno si è spinto a chiedere il sequestro dell’inceneritore amato alla follia dalla Regione Basilicata e da svariati esponenti del Partito Democratico lucano. E si fa fatica a capire cosa si attenda oltre, stando anche il fatto che, per molto meno, nella vicina Cerignola si è chiuso Eco Capitanata, stabilimento simile, per molto meno.

METALLI PESANTI – A settembre, pur rientrando nella norma l’arsenico, si è registrato un aumento dei metalli pesanti più pericolosi: ovvero, nichel e manganese. Si tratta degli eterni ‘compagni di vita’ della popolazione del Vulture. Ma non solo, dato che, come scritto proprio dal quotidiano di Scalfari, “oltre alla zona del Vulture – Alto Bradano lucano, dove vivono circa centomila persone, l’inquinamento potrebbe toccare, se il fiume risultasse contaminato, anche le province di Foggia e Bari”. E lo fa senza dubbio. Presenza abbondante di nichel (cancerogeno ma sopratutto insistente a livello di allergie), è stata rinvenuta in sei pozzi su nove (come a luglio). Sballate le cifre dei pozzi di rilevamento numeri 3, 5, 6, 7, 8 e 9, con violazioni che sforano di oltre 15 volte il limite fissato dal D.Lgs. n.152/06. La stima più allarmante è stata quella registrata sulle acque del pozzo numero 8, dove, a fronte di un tetto massimo di 20ug/l, sono stati rilevati 308 ug/l. Non va meglio per quel che attiene il manganese. Come a luglio, cinque i pozzi contaminati (settembre: 2, 4, 5, 6, 8), con dati estremamente peggiori rispetti a quelli di due mesi fa. Prima di agosto, infatti, i ‘pozzi maledetti’ restituivano stime comprese fra i 265 e i 650 ug/l. Il mese scorso, al contrario, i nanogrammi hanno sforato (e non è comunque la prima volta, è anche andata molto peggio) quota 1000. E’ quanto si registra alla casella del sesto dei pozzi piezometrici, dove, contro un limite di 50 ug/l stabilito per legge, si quantificano 1021 nanogrammi di manganese per litro. Ovvero, oltre 20 volte in più di quanto consentito dalla già clemente normativa statale.

FERRO – Ma, come sempre, non mancano le new entry. E’ il caso del ferro, presente nei rilevamenti del mortifero pozzo numero sei, dove, anche se di poco, i livelli sforano la soglia d’attenzione (296 ug/l contro i 200 massimi previsti per legge). Si legge su Wikipedia: “Un apporto eccessivo di ferro tramite l’alimentazione è tossico perché l’eccesso di ioni ferro reagisce con i perossidi nel corpo formando radicali liberi. Finché il ferro rimane a livelli normali, i meccanismi anti-ossidanti del corpo riescono a mantenere il livello di radicali liberi sotto controllo. La dose quotidiana di ferro consigliata per un adulto è 45 milligrammi al giorno, 40 milligrammi al giorno per bambini fino a 14 anni. Un eccesso di ferro può produrre disturbi (emocromatosi); per questo l’assunzione di ferro tramite medicinali va eseguita sotto controllo medico ed in caso di oggettiva carenza di ferro”. Insomma, a tossico, è tossico, non corrono dubbi.

“SPEGNERE FENICE” – Laconico il commento del Comitato Diritto alla Salute di Lavello: “A questo punto la Provincia non ha più motivo di tenere in essere l’autorizzazione provvisoria”. Come dire: Fenice va chiusa. Tanto più perché, oltre ai metalli pesanti, persistono nelle acque valori eccedenti di alifatici clorurati cancerogeni (in particolare allarmano tricloroetilene e tetracloroetilene) e, altra novità, il benzene (pozzo numero 7). “Chi ha il potere di bloccare, sospendere, spegnere l’inceneritore lo deve fare immediatamente e senza indugio”, chiosa l’associazione lavellese. Sperando che non sia già troppo tardi per intervenire.

p.ferrante@statoquotidiano.it

FOCUS, TUTTA L’INCHIESTA FENICE DALLE PAGINE DI STATO
1. Fenice, un caso di (a)normale inquinamento (Stato Quotidiano, 16 maggio 2011)
2. Fenice, la verità di Bolognetti: “Ci uccidono in silenzio” (Stato Quotidiano, 27 maggio 2011)
3. Fenice, contro l’inceneritore si muove anche la Capitanata (Stato Quotidiano, 31 maggio 2011)

4. Melfi, i panni sporchi di Arpab: “Giusto che Fenice chieda di bruciare di più” (Stato Quotidiano, 9 giugno 2011)
5. Fenice la rabbia del Comitato di Lavello: “Una presa in giro” (Stato Quotidiano, 14 giugno 2011)
6. Fenice avvelena ancora. A maggio riscontrato Arsenico (Stato Quotidiano, 20 giugno 2011)

7. Fenice, Comitato di Capitanata: “Clamoroso silenzio delle istituzioni” (Stato Quotidiano, 21 giugno 2011)
8. Bolognetti in tackle su Arpab: “Qualcuno blocchi Fenice”
9. L’intervista al Coordinatore Arpa di Potenza, Bruno Bove (28 giugno 2011)
10. Bolognetti contro Bove: “Se ci sono i dati, allora li tiri fuori” (4 luglio 2011)
11. La gente di Foggia, quella di Lavello e un grido: “No a Fenice” (9 luglio 2011)
12. Fenice, la battaglia va avanti. Le associazioni denunciano Edf (Stato Quotidiano, 29 settembre 2011)

«Quei dati? La magistratura mi ha detto di non divulgarli»

di Massimo Brancati

POTENZA – Preferisce non rilasciare dichiarazioni. Resta in silenzio e si dice tranquillo, convinto che in tutta questa storia lui ha la coscienza a posto. Vincenzo Sigillito, ex direttore dell’Arpab, sapeva dei dati sull’inquinamento di Fenice nel periodo 2002-2006 ma all’epoca aveva negato pubblicamente l’esistenza di rilievi.

Alla commissione consiliare permanente della Regione che stava esaminando il caso arrivò a dire: «In data 16 ottobre 2009 ho saputo che l’Arpab non ha mai effettuato dal 2002 analisi sulle acque nell’ambito di Fenice».

Qualche tempo dopo, incalzato dal Radicale Maurizio Bolognetti, in una nota ufficiale cambiò versione: «… è pendente presso il tribunale di Melfi un procedimento inerente alle attività dell’inceneritore Fenice. Pertanto questa amministrazione non può divulgare notizie in merito».

Circostanza che è stata confermata qualche mese fa da Bruno Bove, coordinatore Arpab di Potenza, in un’intervista al giornalista di «Stato Quotidiano» Piero Ferrante: «I dati, come tutti gli altri, sono qui, presso la sede potentina dell’Arpa.

Ho ritenuto io di non diffonderli perché assunti dalla Procura e perché in corso un’indagine. Non mi prendo la responsabilità di azioni di cui non conosco le ripercussioni. Se mi danno l’autorizzazione a diffonderle, le diffondo».

Sabato scorso, evidentemente, questo via libera c’è stato. Ma è giusto tenere all’oscuro i cittadini su questioni che riguardano la loro salute? E perché la magistratura non è intervenuta pur sapendo che da dieci anni Fenice semina i suoi «veleni» nel terreno circostante? È necessario vederci chiaro. Nei mesi scorsi qualcuno ha tentato di addolcire la pillola spiegando che l’inquinamento riguarda i pozzi «spia» da cui l’acqua non viene munta per scopi potabili e irrigui. Ciò, in qualche modo, spiegherebbe perché la Procura non sia passata all’azione dopo tre anni di indagini. Sarebbe inquietante, d’altra parte, pensare che la magistratura, pur di «proteggere» una multinazionale, abbia chiuso entrambi gli occhi. Bloccare Fenice è l’appello lanciato dagli ambientalisti e dai residenti che denunciano l’aumento di malattie tumorali. La salute viene prima di tutto. Ma, considerando ciò che sta accadendo in questi giorni, il fragile sistema dello smaltimento di rifiuti urbani della Basilicata può reggere l’eventuale chiusura dell’inceneritore? I dati dicono di sì. Nell’impianto viene smaltita la parte secca di immondizia trattata a Venosa e Sant’Arcangelo, vale a dire il 30 per cento di quello che finisce in discarica. Un quota, dunque, che può essere assorbita anche senza il «mostro».


da La Gazzetta di basilicata 20 Settembre 2011

Published in: on 20 settembre 2011 at 22.29  Lascia un commento  
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Il comunicato stampa del Comitato contro inceneritori Foggia su questione Fenice

La pubblicazione dei rilevamenti sui pozzi di emungimento dell’Inceneritore Fenice è l’ennesima dimostrazione di come un sistema criminale continui a pendere, come una spada di Damocle, sulle teste di migliaia di cittadini, con il beneplacito della politica.
Ci saremmo volontariamente risparmiati questo nuovo sfregio alla decenza pubblica. Venire a conoscenza di quanto, già da mesi, andiamo sostenendo in accordo con il Comitato per la Salute di Lavello, i Radicali Lucani di Maurizio Bolognetti, l’associazione ambientalista Ola e il Comitato contro gli inceneritori di Capitanata, è solo un passo in più di un processo di verità che, giorno dopo giorno, squarcia il velo di morte che Edf, con la complicità di Arpa, Provincia di Potenza, Regione Basilicata e Procura di Melfi prima e Potenza poi, hanno alzato. Un velo inspessito dalla mollezza, addirittura dall’ignoranza delle amministrazioni della Capitanata e della Puglia tutta. A seguito delle nostre richieste d’incontro con tutte le autorità pugliesi e daune, siamo stati ricevuti soltanto dall’Assessore alla Sanità della Regione Puglia, Tommaso Fiore. Silenzio assoluto, al contrario, ci è stato opposto dalla Provincia di Foggia (dove, d’altronde, restano imbarazzanti le contraddizioni dell’amministrazione, in loco contraria a tutti i processi di annessione del territorio, a Roma incastonati nei favori della Prestigiacomo) e dalla neonata sesta provincia. E allora ci chiediamo: dov’è il Presidente-barra-parlamentare Antonio Pepe? E dove l’Assessore-barra-Commissario del parco del Gargano Stefano Pecorella?
Dunque, Pulcinella ha detto: l’inceneritore è cattivo e sporco. E sta inquinando dal 2002. Praticamente, da quando è entrato in funzione. Da nove anni, in maniera ininterrotta, i fumi si spargono sulle terre, contaminano i campi, infettano i cibi, s’insinuano nella pelle. Fenice sversa nella falda nichel, cromo, mercurio, piombo, cadmio, arsenico, trialina. L’odore acre e grigio della morte si è sparso sul Vulture. È lui, l’impianto, il nuovo, vero e pericoloso vulcano. Che agisce silenzioso a pochi passi da una fabbrica di pasta, a un tiro di schioppo da fonti, ruscelli e un fiume, l’Ofanto, che bagna tre regioni. E, questo, in barba ad ogni referendum. Basta un’opportunità di guadagnano, per giunta banditesca, per mortificare il voto di 27 milioni di persone che hanno, lo scorso giugno, decretato che l’acqua non è in vendita, che è di tutti e tutti hanno il diritto ad accedervi. Evidentemente, vista l’assenza dei Comitati per l’Acqua pugliese e lucano, e, più nello specifico, di quello delle province di Foggia e di Potenza, qualcuno deve aver interpretato il referendum come una semplice occasione di festa, buona per sfoghi ludici piuttosto che come snodo cruciale di una battaglia che è solo agli albori.
Bolognetti ha parlato dei cittadini lucani come di “carne da macello”. Noi ci spingiamo più in là. I cittadini del Vulture sono carne già macellata ed abbandonata a marcire al sole tra verdura incenerita e frutta malata. Inutile ricordare, lo fanno abbondamentemente gli amici di Lavello, che tre malati su cinque ricoverati presso il Crob di Rionero in Vulture, sono proprio del centro lavellese. Ben venga allora la Commissione d’Inchiesta proposta dal Presidente della Regione Vito De Filippo. Ma chiediamo al Presidente un atto d’umiltà. Si presenti non come interrogatore di quella commissione, ma come interrogato. Spieghi ai cittadini del Vulture e, indirettamente, a quelli del barese e del foggiano, chi e perché ha deciso di occultare i dati. Chi ha deliberato la fine agricola di una terra che non ha altre vocazioni. E come mai un’Agenzia Regionale, a Potenza diretta da Bruno Bove, uomo vicinissimo al Partito Democratico, abbia volontariamente e deliberatamente deciso di non rivelare cinque anni di attività mortifera e criminale. Dica quali provvedimenti intende prendere per sanzionare Fenice. E quali contro chi non ha fatto nulla acché emergessero queste magagne. Si costituisca parte civile nel fascicolo aperto in Procura, il Presidente. Chieda conto di che fine abbia fatto il procedimento, traslato da Melfi a Potenza nell’indifferenza generale. E, finalmente, dopo un decennio di ignava presenza, incominci ad amministrare un corpo di cittadini e non un covo di interessi.
Troviamo inoltre patetico il tentativo del presidente della Provincia di Potenza, Piero Lacorazza e del suo assessore all’Ambiente, Massimo Macchia, di scaricare le proprie responsabilità occultandole dietro un dito di scusanti. Ricordino perché sono lì e ringrazino ogni giorno il cielo di avere nelle potenzialità dell’agire una missione da compiere, non un semplice lavoro di disbrigo pratiche. I fumi di Fenice non chiedono permessi. Dunque, non troveranno risposta nelle carte. Ecco perché anche noi chiediamo l’immediata chiusura dell’impianto Edf, un tavolo interregionale di confronto per affrontare, una volta per tutti, la questione della chiusura del ciclo dei rifiuti.

COMITATO CONTRO INCENERITORI DI FOGGIA
RIFONDAZIONE COMUNISTA FOGGIA
VERDE AMBIENTE E SOCIETA’ FOGGIA
LEGAMBIENTE CIRCOLO GAIA FOGGIA

Fenice, ecco le ‘carte nascoste’. 2002-2007 fu lustro di morte

da Stato Quotidiano, 19 settembre 2011

Inceneritore La fenice (pietrodommarco.it)

Foggia – CI SONO voluti nove anni, svariati morti e ancor più malati, manifestazioni di piazza, la creazione di Comitati di cittadini, diverse interrogazioni parlamentari, l’interessamento della stampa di mezzo meridione, un fascicolo (scomparso) presso la Procura della Repubblica di Melfi (ora insabbiato a Potenza). Ci sono voluti nove anni, dunque, perchè un ufficio pubblico svelasse, un lustro di magagne dell’inceneritore La Fenice. L’Arpab ha infatti reso pubblici, attraverso il suo sito ufficiale, i dati dei rilevamenti dei pozzi piezometrici a valle dell’inceneritore sito nella zona industriale della città lucana. Ed è un avverbio, il finalmente, che lascia presto il posto alla preoccupazione.

BOLOGNETTI: “ANGOSCIA E INDIGNAZIONE” – Le cifre riportate nelle dieci pagine contenenti le 29 tabelle con i rilevamenti sulle acque sono una funesta conferma delle teorie avanzate, con fragore inascoltato dall’esponente dei Radicali Lucani, Maurizio Bolognetti (e giornalista per conto della Radio del Partito di Marco Pannella ed Emma Bonino) e dal Comitato per la Salute sorto a Lavello proprio per opporsi all’attività dell’impianto della multinazionale Edf. “Lo sapevo, l’ho detto, l’ho ripetuto come un mantra. Eppure, nel leggere che i signori della monnezza della Edf hanno inquinato le matrici ambientali del vulture-melfese, la falda acquifera fin dal 2002, monta l’angoscia e l’indignazione”, piange di dolore Bolognetti. E’, il giornalista, uno di quelli più bersagliati della vicenda, messo in mezzo da amministrazioni e funzionari Arpab come sobillatore e provocatore.

DAL 2002 – E la realtà è proprio come lamentata da Bolognetti. L’inceneritore melfitano, la cui attività ha serie ripercussioni anche sul tratto pugliese del fiume Ofanto (la cui acqua viene utilizzata per irrigare i campi. A questo punto si apspetta una presa di posizione ufficiale anche dell’Autorità di bacino, tirata in ballo, un paio di mesi fa, dal Comitato foggiano d’opposzione all’impianto della multinazionale francesce), ha inquinato a tutto spiano sin dal 2002. Con la complicità di Arpa e Regione Basilicata e nel silenzio quasi totale delle amminstrazioni di Lavello e Melfi. Le cifre, d’altronde, non lasciano adito ad interpretazioni. A partire dal gennaio del 2002 e sino al luglio del 2007, i valori registrano un inquinamento perpetuo ed inquietante, con picchi mai raggiunti neppure nel periodo attuale. Le popolazioni del Vulture, in particolare, hanno dovuto fare i conti con le scomode convivenze di Cromo, Mercurio, Piombo, Cadmio e Nichel. Tutti elementi chimici estremamente pericolosi per la salute dell’individuo, molti dei quali, come il Nichel ed il cadmio, con grande incidenza su donne incinte e neonati e con altissimi tassi cancerogeni ed infiammatori.

L’INTERPRETAZIONE – Sostanze proibite, velenose e pericolose che attestano uno smaltimento “non ortosso”, sempre al di sopra dei parametri fissati già prima del (per nulla restrittivo) Decreto Legislativo 152 del 2006. Roba scottante, per un impianto che, da oltre 10 anni, è sotto l’occhio della popolazione e di un paio di associazioni ambientaliste e che opera con permessi ballerini, mai definitivi e concessi più sulla garanzia che nell’effettività dei riultati. E che, malgrado tutto, nel tempo ha ricevuto incomprensibili attestati di stima dagli stessi organi di controllo che, a stagioni alterne, l’hanno derubricato alla voce “risorsa” o a quello “opportunità”. Partendo dal circuito di posti di lavoro che, attorno all’inceneritore (ricordiamo, gestito, da inizio 2011, da una srl, che ha ereditato il testimone da una – identica – spa) ruota. “Qui parliamo di stato di diritto e legalità, di Costituzione (violata) e del diritto alla conoscenza negato”, ha commentato a caldo Bolognetti.

E allora eccole le famose carte nascoste. Cinque anni in cui i parametri vengono doppiati, triplicati, decuplicati, elevati a potenze superiori alla enne. Non c’è stato, lo dicono le carte, un solo mese in cui Fenice abbia limitato i danni.

NICHEL – Il segnalatore più inquietante è certo quello del nichel. Segnalati sforamenti in 193 casi, a fronte di un limite massimo consentito picchettato a quota 20 ug/l, il metallo pesante è stato rintracciato in quantità che definire abbondanti è ben meno che un eufemismo. A marzo 2003 ha toccato quota 2600 ug/l (130 volte di più del consentito), a luglio 2006 addirittura il pozzo di emungimento numero 9 ha restituito 7032 ug di nichel per litro. Che, tradotto, significa 351.6 volte di più rispetto a quanto fissato dalla legge. Si tratta di casi limite, punte di un iceberg (oltre i 100 ug/l il nichel è andato spesse volte nel corso dei cinque anni “di buco”) che si sta scogliendo sotto i colpi della verità. Dati, sottolineano dal Comitato per la Salute di Lavello, “leggibili ed interpretabili in maniera inequivocabile”. E che, chiaremente, non possono che allarmare. La comunità scientifica internazionale, come confermato tempo fa a Stato Quotidiano dall’Assessore alla Sanità della Regione Puglia, Tommaso Fiore, sta effettuando esperimenti di laboratorio per scoprire la correlazione fra il metallo pesante e l’autismo. Nichel che, già di noto e già di suo, è una delle sostanze a più alto contenuto di allergeni presenti in natura. Oltre ad essere in possesso di buona fama di cancerogeno.

PIOMBO – E’ l’altro gentile frequentatore delle lande melfesi. Il piombo, presente proporzionalmente in quantità minore rispetto al nichel, ha fatto registrare un picco spaventoso nel corso delle rilevazioni del marzo 2006 (evidentemente, l’annus horribilis per l’inceneritore Edf e peggio anora per le popolazioni di un’intera area transregionale), quando i valori (quasi sempre comunque al di sopra del tasso permesso), a fronte dei 10 ug/l consentiti, hanno toccato quota 700 (pozzo 1, settanta volte al di sopra della norma), 590 (pozzo 2, 59 volte più del permesso), 550 (pozzo 3, stima 55 volte superiore ai 10 ug/l), 220 (pozzo 4, 22 spanne più in alto del normale), 240 (pozzo 5, 24 volte di troppo). Piombo che, se possibile, ha effetti ancora più devastanti sul funzionamento del sistema umano. Assorbito essenzialmente attraverso la respirazione e la nutrizione, non viene metabolizzato, ma per larga parte escreto, mentre il resto (circa 20%) si distribuisce nei tessuti e in particolare nel sangue, nei tessuti minerali (ossa e denti), nei tessuti molli (reni, midollo osseo, fegato e cervello). E’ un metallo fortemente intrusivo che distrugge letteramente ciò che attacca, provocando malattie non di poco conto. Il piombo, infatti, è sostanza in grado di danneggiare praticamente tutti i tessuti, in particolare i reni e il sistema immunitario. La manifestazione più subdola e pericolosa dell’avvelenamento da piombo è quella a carico del sistema nervoso. Negli adulti il danno da piombo si manifesta soprattutto con neuropatia. Provoca encefalopatia, i cui sintomi sono vertigini, insonnia, cefalea, irritabilità e successivamente crisi convulsive e coma. La neuropatia da piombo colpisce soprattutto nello sviluppo, con turbe comportamentali e danni cognitivi. Studi epidemiologici hanno mostrato una forte correlazione fra il livello di piombo nel sangue e nelle ossa e scarse prestazioni in prove attitudinali.

MERCURIO – Luglio 2003, gennaio e marzo 2004, maggio 2007. I rilevamenti tenuti nascosti restituiscono alla luce anche la presenza, nelle falde, del deleterio mercurio. Così come il piombo, il mercurio, estremamente tossico, agisce a livello nervoso. Molto nocivo anche per la cute.

CROMO – Altra sostanza con cui si scherza poco. Composti del cromo vengono usati in coloranti e vernici, chiaramente smaltiti, in quanto Rifiuti speciali e industriali (presenti anche nelle auto della vicina Fiat), a Fenice. La sua presenza è associata all’aumento di carcinomi, specie quelli del seno e del polmone. Ma è sostanza che aggredisce, e non poco, pelle, occhi, e sistema respiratorio. Fra marzo 2006 e maggio 2007, è presente con una certa pericolosità nei pozzi di emungimento a valle dell’inceneritore francese. A fronte di una quantità massima fissata a quota 50 ug/l (e silenziosamente sforata con discreta cadenza sin dal 2002), i numeri certificano, nel marzo 2007 addirittura una presenza di 1000 ug/l di cromo all’interno del pozzo 6, che erano stati 600 ug/l appena nel luglio dell’anno precedente, 454 due mesi prima e diverranno 557 a luglio. Guarda caso, questi tetti massimi di sforamento dei limiti, segno che non tratta di occasionalità, ma di un malfunzionamento nella macchina del controllo e dell’intervento, sono stati registrati nelle acque dell’identico pozzo, il numero 6. Che cosa significa? E come mai questo aumento repentino è avvenuto proprio nel 2006, dopo che, nel gennaio, il monitoraggio era andato buca? E perchè proprio a gennaio, ovvero nello stesso mese in cui Fenice presenta alla Regione la concessione Aia? Interrogativi che, al momento, restano insoluti.

CADMIO – Nell’ultimo rilevamento “ignoto”, quello cronologicamente risalente al luglio di quattro anni fa, riscontrate tracce di cadmio in 6 dei 9 pozzi. Il materiale, presente nei minerali dello zinco, è voce inedita, precedentemente non riscontrata. Potrebbe essere dovuta allo smaltimento massiccio di materiale industriale o pile in disuso. Il cadmio infatti, viene utilizzato per le batterie ricaribili, ma se ne rinviene in tracce anche nei rottami di ferro ed acciaio. Inutile dire che, a sua volta, ha ricadute deleterie sulla salute dell’uomo, con conseguenza riscontrabili sul funzionamento dei sistemi circolatorio e renale.

LE REAZIONI – La pubblicazione delle cifre ha sollevato un discreto polverone negli ambienti politici lucani. Malgrado, come specifica a Stato Michele Solazzo, Comitato contro “La Fenice” di Capitanata, “si trattasse solo di dare la conferma di un segreto di Pulcinella”. Il primo a prender parte alla sfilza dei sorpresi, l’ex primo cittadino di Melfi, Ernesto Navazio. A Mariateresa Labanca, giornalista del Quotidiano di Basilicata, Navazio ha rivelato di essere “basito”. E ancora: “Eravamo seduti su una polveriera e nessuno si è preso la briga di farcelo sapere”.

PROVINCIA, REGIONE, PD – Iscritti a parlare anche il presidente della Provincia di Potenza, Piero Lacorazza ed il suo Assessore all’Ambiente Massimo Macchia. I due, “in ordine alla vicenda del termovalorizzatore di Fenice”, hanno diramato un comunicato stampa doroteo, moderato nei termini e fumoso sull’azione da intraprendere. Una lunga nota in cui rimpallano l’intera responsabilità all’Arpab, scaricando la coscienza dalle proprie mancanze: “Abbiamo mantenuto il silenzio in questi giorni – giustificano – pensando che tutti i soggetti istituzionali si potessero ritrovare ad una tavolo, cosi come avevamo chiesto qualche settimana fa con la richiesta della convocazione straordinaria dell’osservatorio ambientale per discutere degli ultimi risultati del monitoraggio su Fenice. Vicende cosi delicate, questo e’ il nostro parere, si governano con chiarezza, fermezza, trasparenza ed assunzione di responsabilità. E allora se dovesse essere utile, anche noi, nel coro delle dichiarazioni, ne aggiungiamo qualcuna”. Nulla di nuovo, insomma, ma che apre un fronte di guerra tutto interno al centrosinistra di governo del capoluogo lucano. Tirando in ballo l’Arpab, infatti, Macchia e Lacorazza gettano una patata bollente nelle mani della Regione, dove il presidente Vito De Filippo e l’Assessore all’Ambiente Agatino Mancusi, dovranno muoversi facendo ben attenzione a non intaccare le spartizioni di potere foraggiate dal pd (lo stesso Bruno Bove, mammasantissima dell’Arpab potentina, è uomo del Presidente del Consiglio regionale Vincenzo Folino, piddino di ferro, per 5 anni segretario regionale Ds) e, nel contempo, non scontentare un intero popolo che, ora più che mai, di fronte all’evidenza, invoca giustizia. Così, mentre Mancusi prende tempo, addirittura rinvendicando il diritto di capire cosa “significhino effettivamente quei dati” (bislacco che Mancusi, Assessore all’Ambiente, non lo sappia), De Filippo promette di dar vita ad una Commissione regionale d’Inchiesta che dovrà appurare le responsabilità retroattive di politica, enti e, ovviamente, di Fenice. “Per quanto attiene gli effetti di questi sforamenti sulla salute dei cittadini della zona Nord Basilicata, rimandiamo l’Assessore Mancusi ad una attenta lettura di quanto contenuto nella letteratura scientifica internazionale che lui, in qualità di medico, dovrebbe ben conoscere”, è la risposta, piccata e netta, dei cittadini di Lavello. Che tornano a chiedere la chiusura dell’inceneritore: “Bisogna bloccare immediatamente l’attività di FENICE-EDF attraverso la revoca della autorizzazione temporanea della Provincia e l’annullamento della procedura autorizzativa AIA del Dipartimento Ambiente Regione Basilicata”.

Ma la storia non si fermerà, andrà avanti. Maurizio Bolognetti proverà a capire dove sia terminato il fascicolo nascosto tra le pieghe della Procura potentina. E, in questa storia di coincidenze ed insabbiamenti, che uccide tre Regioni di veleni e spazzatura, si scrive un nuovo capitolo strano. Quello di un anno, il 2011, che si è aperto con il cambio della ragione sociale di una società (la farfalla Fenice Spa, 300 milioni di capitale sociale si ri-tramuta nella crisalide Fenice srl, capitale sociale 50 mila euro) ed è giunto ad epifania quasi 10 mesi dopo, con il disvelamento del più richiesto dei segreti. Se fra i due eventi dovesse esservi un legame diretto, un filo conduttore, si tratterebbe o di naso fino (di Edf) o di una strategia studiata a tavolino. Con buona pace della Procura.

p.ferrante@statoquotidiano.it

IL COMUNICATO DI MAURIZIO BOLOGNETTI – Non siamo carne da macello, non siamo cittadini di serie B, non vogliamo essere il costo che qualcuno è disposto a pagare per fare carriera, acquisire benemerenze o ingrassare il conto in banca. Da tre anni chiedevo conto dei monitoraggi effettuati dall’Arpa Basilicata tra il 2002 e il 2007. Bene, adesso Raffaele Vita ha deciso di abbattere il muro di omertà e di pubblicare quei dati on-line sul sito dell’Agenzia. Lo sapevo, l’ho detto, l’ho ripetuto come un mantra. Eppure, nel leggere che i signori della monnezza della Edf hanno inquinato le matrici ambientali del vulture-melfese, la falda acquifera fin dal 2002, monta l’angoscia e l’indignazione.

Davanti agli occhi si materializza lo sguardo di Lucia Lenoci, un’ insegnante di Cerignola, che venerdì sera ha partecipato al sit-in organizzato dal Comitato diritto alla salute di Lavello fuori ai cancelli dell’inceneritore.
Lucia, che mi ha detto: “la politica siamo noi, dobbiamo ribellarci”.
Inceneritore e non termovalorizzatore. Questi non valorizzano niente, ma in compenso ci hanno regalato veleni e inquinamento. Hanno appestato l’aria, l’acqua e la terra.

La politica? Quale? Quella di assessori regionali all’ambiente che da mesi lanciano accuse di allarmismo e procurato allarme? Di quale politica parliamo? Di quella espressa da un ceto partitocratico che tenta di distruggere l’immagine di chi chiede il rispetto di leggi e convenzioni internazionali, non limitandosi a protestare, ma avanzando proposte sulla gestione del ciclo dei rifiuti, sulla nomina dei direttori delle Arpa, in materia di trasparenza e diritto alla conoscenza? Parliamo di questa politica?

Solo poche ore fa l’Assessore regionale all’ambiente Agatino Mancusi ha parlato della necessità di tutelare la psiche dei cittadini del vulture. Un tentativo, l’ennesimo, di minimizzare la gravità della situazione. Come quando parlando di pozzi di petrolio da costruire in prossimità di invasi e ospedali, beffardamente si parla di “VIE”(Valutazione d’impatto emozionale). E intanto, alla faccia della “emozionalità” veniamo condannati dalla Corte di giustizia europea per la violazione della direttiva 2008/1/CE che impone il rilascio di un’autorizzazione per tutte le attività industriali e agricole che presentano un notevole impatto inquinante. Fenice opera da anni in assenza di una “Autorizzazione Integrata Ambientale”. Altro che psicologia e emozionalità, qui parliamo di stato di diritto e legalità, di Costituzione(violata) e del diritto alla conoscenza negato. Ma come avrebbero potuto dare l’autorizzazione a quelli della Fenice, se adesso troviamo conferma a ciò che era più di un sospetto: inquinano non da 4 anni, ma da dieci e probabilmente da un minuto dopo l’inizio delle loro attività. Il silenzio omertoso e complice di enti di controllo e istituzioni è durato non un anno e mezzo, ma dieci anni!!!

E continuano a bruciare Rsu e rifiuti speciali e pericolosi, tanti. Ma che importa, tanto a Melfi c’è un procuratore che nel settembre del 2009 ebbe a dichiarare che non aveva sequestrato l’inceneritore perché persona responsabile. Da due anni e mezzo si protraggono indagini, prima a Melfi, poi a Potenza, che al momento hanno portato al nulla. Disastro ambientale, disastro colposo, omissione di atti d’ufficio, violazione del D.LGS 152/2006 e del D.LGS 4/2008, avvelenamento colposo, avvelenamento di sostanze alimentari, violazione di convenzioni internazionali e dell’art. 32 del dettato costituzionale, potrebbero essere queste le ipotesi di reato che una qualche procura potrebbe ipotizzare, formulare, contestare, ma ahimé, al momento nulla di tutto questo è avvenuto e, come al solito, qualcuno ha addirittura provato ad agitare la clava dell’allarmismo e del procurato allarme. Colpirne uno, verrebbe da dire perquisirne uno, per educarne cento.

Leggo i dati dal 2002 al 2007 e mi stropiccio gli occhi. I veleni finiti nella falda, almeno quelli che hanno controllato(chissà come), si chiamano Cromo, Mercurio, Piombo, Nichel, Cadmio e poi l’arsenico, che appare e scompare pochi mesi fa, i Voc, la trielina.

Stanno operando quelli di Fenice con un’ autorizzazione “provvisoria”, rilasciata dalla Provincia di Potenza nelle “more” del rilascio dell’AIA da parte della Regione. Viene da sorridere, ma c’è da piangere. Il gioco delle tre carte, dove nessuno vuole assumersi responsabilità. IDV, ricordi che ha una nutrita pattuglia in Consiglio regionale che certo non ha certo brillato su questa vicenda. Quanti sono quelli che sapevano e hanno taciuto? Non credo che le responsabilità possano essere circoscritte solo a Sigillito(ex direttore Arpab) e Bove(funzionario Arpab).

Nel giugno del 2009, il direttore dell’Arpab rispose alla richiesta radicale, finalizzata ad ottenere l’accesso agli atti, con un no motivato dall’inchiesta aperta dalla procura di Melfi. Sigillito disse che c’era il segreto istruttorio. Rispondemmo che i dati ambientali non possono essere sottoposti a nessun segreto. Dopo mesi di pressioni, ad ottobre del 2009, l’Arpa quei dati li tirò finalmente fuori. Da settimane, non chiedetemi come, noi quei dati li avevamo già. Dissero che era venuto meno il segreto. Un mese prima un funzionario dell’agenzia aveva dichiarato: “Sapevamo dell’inquinamento, ma non era nostro compito denunciarlo”. Pubblicarono i dati, ma solo a partire dal dicembre 2007. Gli altri, quelli che leggiamo oggi, dissero che non c’erano.

A novembre 2009, il direttore Sigillito, audito presso la III Commissione regionale, dichiarò: “In data 16 ottobre sono venuto a conoscenza del fatto che l’Arpab non ha effettuato analisi sulle acque di monitoraggio di Fenice dal 2002, cioè da quando ha avuto l’incarico da parte della Giunta regionale.”

Tutto finito? Macchè, in questa storia un po’ kafkiana e un po’ surreale, i colpi di scena non finiscono mai. Sono gli effetti speciali prodotti dalla costola lucana de “La Peste italiana”. A giugno 2011, il solito funzionario Arpab, il solito Bove, dichiara in un’intervista rilasciata a “Stato Quotidiano” che i dati ci sono, ma che non può prendersi la responsabilità di azioni di cui non conosce le ripercussioni. Bove afferma: “Se mi danno l’autorizzazione a diffonderle, le diffondo”. Eppure, la foglia di fico del segreto istruttorio era caduta due anni prima. Eppure, avevano detto che non c’erano. Domande: Quali ripercussioni? Può un funzionario pubblico arrogarsi il diritto di negare dati ambientali? Di fronte a tutto questo, leggere frasi del tipo “la Regione detta le regole” è davvero ridicolo. Qui le regole sono diventate carta straccia e di certo se qualcuno ha dettato qualcosa non credo si tratti di coloro che avrebbero dovuto governare e tutelare questo territorio. Sul mio spazio Facebook, Giuseppe Festa ha scritto: “E ora all’attacco”. Si caro Giuseppe, all’attacco per chiedere legalità, giustizia, rispetto dello Stato di diritto e del dettato costituzionale, delle leggi della Repubblica e delle convenzioni internazionali. Tutti i ministri interrogati, ad iniziare dalla signora Prestigiacomo, su questa vicenda non hanno mai inteso rispondere. Non una risposta alle interrogazioni presentate da Elisabetta Zamparutti e dal gruppo radicale alla Camera. Muti anche loro. Muti come i pesci del Pertusillo, che, si sa, si sono suicidati. E muta pure la Commissione ambiente, che vanta tra le sue fila l’on. Salvatore Margiotta.
Lo confesso, a questo punto mi aspetto dalle istituzioni lucane e in primis dal governatore Vito De Filippo uno scatto di reni. La “ricreazione” è finita e deve finalmente prevalere il senso dello Stato, della difesa della Res pubblica.

Ai sindaci del Vulture, invece, voglio ricordare che un qualche margine è loro concesso dagli articoli 50 e 54 del D.LGS 267/2000. Abbiamo davvero bisogno che qualcuno torni a governare il nostro territorio. Abbiamo bisogno che qualcuno si decida a far rispettare le regole. Ora, subito, è necessario anteporre la tutela della salute pubblica e dell’ambiente ad interessi altri. Perché non è stata una pagina edificante quella scritta fino ad oggi e si è scherzato fin troppo sulla salute dei cittadini lucani. Fare il “profeta di sventure” può essere sgradevole, ma, ahimè, ogni giorno andiamo sempre più convincendoci che quanto affermato da Marco Pannella è assolutamente vero: “La strage di legalità ha sempre per corollario, nella storia, la strage di popoli”.
Per dirla con Lucia, la politica, quella buona, quella che si interessa della polis era in piazza a Melfi, davanti ai cancelli di Fenice. La politica partitocratica ne segua l’esempio. Se nulla cambierà, non resterà che appellarsi al Presidente della Repubblica in quanto garante del dettato costituzionale e a quella Europa, che anche in materia di tutela dell’ambiente e della salute, così come sull’amministrazione della giustizia, ci ha ripetutamente condannati.

A chi ci accusa di spargere “veleno sociale”, rispondiamo che l’unico veleno è quello di un regime che fa del potere un fine anziché un mezzo. La Edf deve pagare i danni prodotti, ad iniziare da quello di immagine. L’inceneritore va immediatamente chiuso. Con il Comitato Diritto alla salute dico: “Mo Avast” e confido nella capacità del governatore De Filippo di saper ascoltare le istanze delle popolazioni del Vulture.


FOCUS – ECCO LE CARTE!

FOCUS 2 – L’INCHIESTA FENICE ATTRAVERSO GLI ARTICOLI DI STATO QUOTIDIANO
1. Fenice, un caso di (a)normale inquinamento (Stato Quotidiano, 16 maggio 2011)
2. Fenice, la verità di Bolognetti: “Ci uccidono in silenzio” (Stato Quotidiano, 27 maggio 2011)
3. Fenice, contro l’inceneritore si muove anche la Capitanata (Stato Quotidiano, 31 maggio 2011)

4. Melfi, i panni sporchi di Arpab: “Giusto che Fenice chieda di bruciare di più” (Stato Quotidiano, 9 giugno 2011)
5. Fenice la rabbia del Comitato di Lavello: “Una presa in giro” (Stato Quotidiano, 14 giugno 2011)
6. Fenice avvelena ancora. A maggio riscontrato Arsenico (Stato Quotidiano, 20 giugno 2011)

7. Fenice, Comitato di Capitanata: “Clamoroso silenzio delle istituzioni” (Stato Quotidiano, 21 giugno 2011)
8. Bolognetti in tackle su Arpab: “Qualcuno blocchi Fenice”
9. L’intervista al Coordinatore Arpa di Potenza, Bruno Bove (28 giugno 2011)
10. Bolognetti contro Bove: “Se ci sono i dati, allora li tiri fuori” (4 luglio 2011)
11. La gente di Foggia, quella di Lavello e un grido: “No a Fenice” (9 luglio 2011)

Adesso Basta!

Adesso basta! Fenice va spenta! from olachannel on Vimeo.

La gente di Foggia, quella di Lavello e un grido: “No a Fenice”

La testa del corteo (St)

Ce n’erano un migliaio di persone accorse a Lavello. Tutte, per dire no a Fenice. Tutte per significare, con il proprio corpo, l’estraneità al processo di incenerimento. C’era la Capitanata, soprattutto, molto più che la Lucania. Molto più che la stessa Lavello. C’erano le associazioni di Cerignola, i Comitati. C’erano Legambiente, i Vas e Rifondazione dritti dritti da Foggia. C’erano i seguaci di Gianni Lannes, da Ortanova. C’era la componente di Ordona. Insomma, c’era la provincia di Foggia a far capire che, quell’obbrobrio chiamato inceneritore, di proprietà Edf, non lo si vuole neppure oltre confine regionale.

C’erano un migliaio di persone di ogni età. Accanto al vecchietto ed alla vecchietta, figli e nipoti, carrozzine piene e bimbi in braccio. Nessuna bandiera per dire basta a Fenice. Solo, tanti corpi quanti cuori. Ed una manifestazione radunata dal Comitato “Diritto alla Salute” di Lavello e dall’Organizzazione Lucana Ambientalista. Uomini e donne per le strade del centro del Vulture, ad un tiro di schioppo dall’inceneritore. Di qui, la chiesa del sacro Cuore che fu di don Bisceglia, lampioni a risparmio energetico, biciclette e palloni, trombette e slogan. Di lì, il tanfo di morte, di rifiuti bruciati, il mistero della vita che diventa squallore, l’oltraggio.

Due mondi distinti, quelli di Fenice e di Lavello, fusi soltanto dall’esigenza di lavorare. L’hanno usato come un ricatto goloso, i padroni della spazzatura. Ovvero, se volete la vita, vi tocca scherzare, e pesante, con la morte. L’inganno è durato dieci anni: numeri celati, percolato mortale, camini omicidi, insabbiamenti, connivenze politiche, silenzi. Una cappa che ha portato ad ignorare, qualche mese fa, l’invasione di fumi rossi. “Ma adesso noi ci rifiutiamo di continuare ad essere carne da macello – tuona Nicola Abbiuso, Comitato lavellese”. Già. La popolazione è in strada, in piazza, raggrumata come tanti globuli rossi per cicatrizzare la ferita aperta e sanguinolenta. “Siamo stanchi della strategia del tutto a posto. E’ ora che incomincino a pagare. E, noi, li andremo a scoprire uno per uno”. E’ il redde rationem. La nemesi per chi ha comandato ed ora si trova in posizione di difetto.

La testa del corteo (St)

Intanto, mentre Fenice è chiusa per manutenzione, l’Aia sempre in corso di valutazione ma lungi dall’approvazione definitiva, a ribellarsi all’attività mortifera dell’inceneritore Edf sono le genti delle piane. I cerignolani sono i più rumorosi. Invitano, con slogan martellanti, tutta la popolazione, anche quella inerme, a manifestare. Avanti a tutti, Abbiuso con la sola potenza di un piccolo megafono fa echeggiare i dati oramai noti. Quelli dei rilevamenti sui pozzi. Quelli delle percentuali lucane di smaltimento dei rifiuti. Li ha mandato giù da tempo. Ingoiati come una medicina scaduta. Non aiutano a star meglio. Anzi: “Altro che rifiuti! Ci avete trasformati nel cesso d’Italia”. L’immagine è efficace. Solo, manca lo sciacquone all’Edf, per seppellire, in un colpo solo, tutto il materiale nocivo accumulato in anni di attività. Le culture sono avvelenate. Ed avvelenati sono i polmoni, il sangue, i cervelli di questa parte di Basilicata.

Tra la folla, svetta, come un pendolino, Maurizio Bolognetti. Si muove ovunque, scatta foto, fa interviste e le riceve. Per lui una giornata grandissima. E’ stato il primo a parlare di Fenice. Il primo a denunciare l’inquinamento delle falde, le machiochie complesse della finanza della monnezza. Il suo messaggio è stato sparso nel vento e si è posato su Lavello, Melfi, Potenza, Foggia, Cerignola. “Devono dire ancora molto laggiù a Potenza”, glissa. Non molto distante, con il corteo che sfuma nei comizi di chiusura, liberi, liberissimi, il sindaco di Lavello, Antonio Annale. Rimembra le battaglie degli albori, l’opposizione strenua, l’apertura di Fenice. Poi parla di raccolta differenziata, cerca di incolpare provincia e Regione. Anche se, il compito di innestarla, spetta proprio a lui.

E poi, a sorpresa, il Vescovo della Diocesi Melfi-Rapolla-Venosa, Gianfranco Todisco. Non se lo aspettava nessuno. La sua è una presenza gradita ed imprevista. Un ritorno inatteso. “Voi abitanti di Lavello avete lo stesso diritto alla vita di quelli di una grande città”. Poi, invita alla moderazione, all’azione non violenza. All’azione paziente”. Che non sia facile lo si deduce dalle parole di Abbiuso: “Noi non siamo Santi come Gesù Cristo, Monsignore. La pazienza è finita”. Ride ma si capisce che non ne ha voglia. E chi ne ha, in questa strana atmosfera cupamente felice che odora di polveri sottili e nano particelle.

Bolognetti vs Bove: “Se ci sono i dati, allora li tiri fuori”

Maurizio Bolognetti in una delle sue tante battaglie che gli sono valse l'encomio di Pannella (fb)

Potenza – QUALCOSA si sta incominciando a muovere sul fronte Fenice. Il consigliere regionale Nicola Pagliuca, capogruppo del Popolo delle Libertà in seno all’assise di Viale della Regione, pochi giorni fa ha scosso dal sonnecchioso torpore la politica lucana, scagliando, nel mezzo del placido laghetto, una pietra che, per la verità, Stato Quotidiano aveva lanciato, con gran clamore, oltre un mese fa. “Chiediamo al Presidente della Giunta Regionale [Vito De Filippo, Pd, ndr] di conoscere le motivazioni addotte dalla Fenice S.p.A. circa il passaggio di gestione alla nuova società e se sono state fornite, agli enti competenti, le garanzie necessarie considerato l’esiguo importo del capitale sociale della Fenice S.r.l.”. E, con Stato, i Comitati locali ed i Radicali Lucani.

Lo scossone più grande, comunque, giungerà dalla manifestazione indetta dall’organizzazione “Diritto alla Salute” di Lavello. Una grande manifestazione, messa in piedi per venerdì (8 luglio, ore 18.30, Piazzale Sacro Cuore), nata in quattro e quattr’otto per richiamare l’attenzione dei media, per sbandierare al resto della penisola il malcontento e per far recapitare a chi di dovere (Regione Basilicata, Arpab, Asl) messaggi di mancato addestramento della popolazione. Neppure l’incitamento degli operai del termodistruttore, il ricatto del lavoro, ha fermato la battaglia. In piazza si va, dicono dalle parti del Comitato lucano, per “far chiudere lo stabilimento di Fenice”. Che, vale la pena ricordarlo, mette a repentaglio la salute della popolazione e della filiera agroalimentare anche della provincia di Foggia.

L’intervista rilasciata a Stato dal Coordinatore dell’Arpa della Provincia di Potenza, Bruno Bove, intanto è deflagrata con tanto di boato accessorio. Tutti i giornali lucani hanno ripreso la notizia. In un trafiletto, l’edizione de La Gazzetta del Mezzogiorno, si è anche chiesta la liceità avocatasi dagli Uffici dell’Arpa di non pubblicare i dati di fronte ad una situazione tanto grave (a maggio, va ricordato, nei pozzi di emungimento a valle di Fenice sono state rinvenute quantità consistenti di arsenico).

“E io ho presentato un esposto in Procura a Potenza”, introduce Maurizio Bolognetti (direzione nazionale Radicali, da sempre impegnato nella battaglia contro l’incenerimento a Melfi).

L’ennesimo, Bolognetti. Allora ha ragione Marco Pannella quando la ringrazia per “la sua tenacia e per la forza con cui porta avanti le battaglie anche da solo”. Ma serviranno queste azioni? No, sa, perché, in tutta questa storia, esce fuori una magistratura particolarmente tardiva nei provvedimenti…
E come potevo non farlo? Quando leggo dichiarazioni come quelle rilasciate a lei da Bove, in cui lui si arroga il diritto di non pubblicare dati che sono pubblici e che, nel 2009, la stessa Procura di Melfi ha desecretato, non posso che invocare, anche a livello ufficiale, una subitanea presa di posizione da parte della Procura. Poi, magari, ciò non avverrà.

Cosa la sorprende, Bolognetti?
La domanda è un’altra: come può un funzionario dell’Arpa, uno che sarebbe tenuto a garantire la salute dei cittadini, decidere, al contrario, di mettere sotto silenzio una cosa che ha riflessi estremamente pesanti sulla salute delle comunità?

Ve bene, lo chiediamo a lei: come può?
Non lo so come possa farlo. So che, facendolo, va incontro ad una palese violazione della Convenzione di Århus che, all’articolo 5, comma C, prevede la diffusione immediata e senza indugio di ogni cifra a dato o elemento che descriva l’attività di qualsiasi cosa abbia ripercussioni dirette sulla salute delle persone e dell’ambiente. A Potenza ed a Lavello, invece, si sta scherzando amenamente sulla pelle della persone, di un’intera comunità di cittadini. E questa cosa è estremamente grave.

Bove ci ha confermato che i dati ci sono e che è necessario domandarli con atto formale. Dopo di che, chiederà alla Procura se…
Ma sono due anni che chiediamo la documentazione all’Agenzia Regionale per l’Ambiente! Questa sui dati, mi creda, è una querelle storica, un tira e molla che, in tutta franchezza, mi sta seccando. Sta seccando me, sta seccando i Radicali, sta seccando i Comitati e i cittadini. Prima, e parlo del giugno del 2009, dicono che sono secretati. Quando, ad ottobre di due anni fa, la Procura di Melfi decide, finalmente, che è giunto il momento di sapere ed ordina la pubblicazione degli stessi, ci vengono fatti vedere solo quelli a partire dal 2008 (ora scomparsi dal sito dell’Arpab, misteriosamente, ndr). E gli altri? E quelli precedenti? Bove, tempo fa, ha detto e cito che tutti “sapevano che Fenice stava inquinando”. Bella scoperta. E, chiedo a Bove: che avete fatto per fermarla? Niente, hanno alzato le mani e detto che, al contrario, non spettava all’Arpa intervenire. Mi sembra tutto molto grottesco.

Bolognetti che c’è in quei dati di tanto sconvolgente? Insomma, ormai tutto il peggio è uscito: nichel, manganese, arsenico. Le colpe di Fenice, la vostra verità. Cosa li spinge a non pubblicare proprio quelli precedenti?
(grossa risata) Questo bisognerebbe chiederlo a Vincenzo Sigillito (ex direttore dell’Arpab, ndr), a Raffaele Vita (attuale direttore dell’Arpab, ndr), a Bruno Bove, a Fenice.

…alla magistratura…
In particolare al Procuratore di Melfi, Renato Arminio.

Che c’era?
E chi lo sa? Ufficialmente erano dati incompleti e non formali. Ciò significa che o non sono stati fatti i controlli, oppure, nel caso questi siano stati fatti, nessuno si è preso l’onere di firmare le carte…

Non c’è mai fine al peggio?
Forse i dati erano peggiori di quelli attuali, si. Forse erano centinaia di volte superiori alla norma. Forse temono si possano scoprire connessioni terribili con le morti sul territorio. L’inquinamento, e soprattutto certo inquinamento, non scompare con il tempo. Resta incollato sulla pelle di una terra: sui suoi frutti, sui suoi suoli, sulle sue acque. Stanno ammazzando un territorio che, prima dell’indotto Sata, era puro e vergine. E, soprattutto, vivibile.

E se Bove avesse ragione a dire che è la Procura a non volere la diffusione dei dati?
Io non ho nulla contro Bove, sia chiaro. Tuttavia, mi sembra alquanto particolare che una Procura decida di togliere il segreto istruttorio soltanto su certe carte e non su altre. Magari da quelle fatte passare sotto silenzio non esce nulla di scandaloso. Oddio, già sapere che l’inquinamento incide sul Vulture non da due anni ma da nove sarebbe una notizia drammatica. In ogni caso il problema è anche di democrazia. I cittadini hanno il diritto di sapere.

Ma la politica che fa?
La che? La chi? Non ricordo di aver mai sentito l’Assessore alla Sanità della Regione Lucania, Mancusi, fare pubbliche dichiarazioni contro l’inceneritore La Fenice di Melfi. E non credo di sbagliarmi. L’unica uscita che si ricorda del buon Mancusi risale ad un paio di anni fa e concerne un battibecco avuto in consiglio regionale con l’ex sindaco di Melfi, Alfonso Ernesto Navazio, al quale Mancusi ricordava che, dal 2006, non si svolgono indagini epidemiologiche sull’area. Tutto qua.

Nicola Pagliuca, consigliere regionale di centrodestra, la settimana scorsa ha posto in essere il passaggio da Fenice spa a Fenice srl nella gestione dell’impianto, chiedendo conto al Presidente Vito De Filippo del motivo per il quale la regione abbia taciuto di fronte a questa sorta di pre ammissione di colpevolezza della società di gestione dell’inceneritore melfitano.
Sono passati sette mesi da quel passaggio di consegne e Pagliuca è stato il primo, diciamo così, politico istituzionale a portare allo scoperto la questione. Voi di stato, ad esempio, ne avete parlato un mese fa. Io lo denuncio da gennaio. I Comitati fanno altrettanto. Basta fare una sillogica deduzione…

Dalle parti di De Filippo tutto tace…
E che si aspettava? La tattica è quella del muro di gomma: assorbire il colpo e, nel caso, fagocitare.

Neppure il Sistema Sanitario brilla in questa storia…
E, su questo, mi sento di dare ragione al dottor Bove. L’Asl, anzi le Asl delle zone coinvolte, dove sono finite? Le ultime rilevazioni risalgono addirittura al 2006. E già allora – ecco perché crediamo che ci sia premeditazione dietro il “ritardo” – le stime erano incredibilmente allarmanti. E ora? A Lavello i cittadini ripetono ossessivamente che tre su cinque dei ricoverati al Crob vengono dal loro paese. Che non è New York. Che cosa vogliono fare? Attuare uno sterminio di massa? Diano delle risposte e facciano subito. Si attivi il personale sanitario, si scuotano anche gli stessi medici di base. Non restino chiusi nel loro silenzio. In tutta la Basilicata, lo dice l’Istat, non un Bolognetti qualunque, c’è stato nel 2006 un tasso di incidenza tumorale più grande che in tutto il resto del Paese. Questa peste italiana deve essere curata.

Fenice l’avvelentarice. A maggio sgamato l’arsenico

L'inceneritore Fenice

Melfi – NICKEL e Manganese in aumento; i dati sui pozzi piezometrici non riportati nelle rilevazioni di marzo che compaiono e sono mortificanti; la “new entry dell’arsenico”, per dirla con le parole di Nicola Abbiuso, Comitato Diritto alla Salute di Lavello. Questo quello che emerge dal monitoraggio ambientale delle acque dei pozzi a valle dell’inceneritore de La Fenice di Melfi a maggio 2011. C’è di strano, ancora una volta, il silenzio degli enti e dell’Arpa della Lucania che, anche di fronte a questo ennesimo dato negativo, prosegue nel suo tentativo silenzioso di picconamento del fiume Ofanto.

Le cifre diffuse mettono in apprensione i cittadini del Vulture. Aumenta infatti, malgrado la tanta decantata barriera idrica – in effetti inutile, malgrado avesse dovuto, in parte, contenere l’inquinamento della falda – la presenza nell’acqua di metalli pesanti. Veri e propri assalitori della salute dell’uomo. Capaci come sono di violare l’immunità del corpo attraverso la diffusione di malattie allergologiche ed infiammatorie (oltre che, ovviamente, tumorali).

NICKEL – Il problema dei problemi. Ormai da quattro anni è la costante fissa delle rilevazioni dei pozzi melfesi. L’attività di Fenice, dicono i dati di maggio, ha provocato l’ennesimo inquinamento da nickel. A differenza di quanto avvenuto tre mesi fa – dei rilevamenti compiuti a marzo furono diffusi soltanto i dati riguardanti 6 pozzi -, ora la situazione è più chiara. Ma, purtuttavia, non per questo migliore. In sette dei dieci pozzi, l’acqua ha una concentrazione di nickel superiore alla norma. Il decreto legge 152 del 2006, infatti, fissa a 20 i milligrammi per litro di metallo possibile. Barriere, questa, oltrepassata nei pozzi 2 (33 mg/l, niente rilevamento a marzo), 3 (34 mg/l, in salita rispetto ai 21 di tre mesi fa), 5 (172 mg/l, nessun dato a marzo), 6 (183 mg/l, in crescita), 7 (43mg/l, in miglioramento), 8 (addirittura 393 mg/l, nessun dato precedente) e 9 (93mg/l, molto peggio) e contenuta soltanto nell’1 (5 mg/l), nel 4 (per un soffio, 15 mg/l) e nel 104.

MANGANESE – Va addirittura peggio per quel che concerne il manganese (che, tanto per capirci, è una delle maggior cause del parkinson). Anche in questo caso, la diffusione dei rilevamenti effettuati su tutti i pozzi, butta giù la maschera dietro cui Arpab e Fenice si schermavano. A fronte di un limite previsto di 50 mg/l, sfora metà dei pozzi: il 2 (955 mg/l, vuota la casella a marzo), il 4 (610 mg/l, quattro volte in più rispetto a tre mesi fa), il 5 (955 mg/l, non rilevato a marzo), il 6 (1250 mg/l, anche questo un centinaio di mg/l in più rispetto a tre mesi fa), l’8 (394mg/l, ovviamente inserito dopo il silenzio di marzo).

ARSENICO – As, questa la nuova sigla che spaventa i Comitati e i cittadini di Puglia e Basilicata. Ovvero, l’Arsenico, uno dei veleni più letali in natura. E’ un’assoluta novità. Lo sforamento è stato registrato nel pozzo di emungimento numero 4 dove, a fronte di un limite fissato a 10 mg/l, si è raggiunta quota 18.

REAZIONI – Abbiuso non ha nessun dubbio. E ripete ancora, come un mantra, la sola soluzione possibile: “Bisogna fermare l’inquinamento. E per fermare l’inquinamento bisogna dire basta a Fenice”. Discorso bissato dal Comitato di Capitanata che, per voce di Michele Solazzo chiede “la cessazione immediata del funzionamento dell’inceneritore La Fenice”.

http://www.statoquotidiano.it/20/06/2011/fenice-avvelena-ancora-a-maggio-riscontrato-arsenico/51243/

p.ferrante@statoquotidiano.it

FOCUS, GLI ARTICOLI DI STATO – 1. Fenice, un caso di (a)normale inquinamento (Stato Quotidiano, 16 maggio 2011)
2. Fenice, la verità di Bolognetti: “Ci uccidono in silenzio” (Stato Quotidiano, 27 maggio 2011)
3. Fenice, contro l’inceneritore si muove anche la Capitanata (Stato Quotidiano, 31 maggio 2011)

4. Melfi, i panni sporchi di Arpab: “Giusto che Fenice chieda di bruciare di più” (Stato Quotidiano, 9 giugno 2011)
5. Fenice la rabbia del Comitato di Lavello: “Una presa in giro” (Stato Quotidiano, 14 giugno 2011)