Primarie si, primarie no, primarie via mail, primarie c’hanno rotto i…

Primarie. Dieci mail al giorno di altrettante difformi personcine che ci tengono, con cura e dovizia, informati sulla campagna elettorale di Nichi Vendola, sulle interviste televisive (es. “Questa sera Nichi Vendola a La7!Seguilo anche tu”. Oppure: “sintonizzati su Rai Due! C’è Nichi!”) e sugli articoletti di giornale.

A loro, per dovere di educazione dobbiamo qualche risposta:
A. Non abbiamo la televisione e non ci interessa averla. Risparmiamo sul canone Rai e sulla corrente e leggiamo tanti libri in più
B. Anche se avessimo la televisione, piuttosto che toccarci estasiati e orgasmici sulle fisime di Nikita, Pierlu e Renzino Renzi, ci caveremmo gli occhi
C. Tranne in casi eccezionali, non compriamo i giornali. In particolare, non compriamo i giornali filo-governativi, filo-israeliani, anti-cubani, filo-filati e stracazzi di tal risma. Usiamo internet e, per giunta, interessandoci di notizie politicamente serie e di cultura. Tutto il resto, per quel che ci riguarda, è fuffa buona per essere incenerita negli impianti che Nikita ha regalato alla Marcegaglia
D. Non voteremo alle primarie perché ci fa schifo il processo della democrazia/cabina telefonica (metti il gettone e voti). E perché, noi, con due euro, compriamo 20 chili di legna per quest’inverno

Dunque, ricontattateci quando vorrete lottare con noi. Fino ad allora: esimetevi

Maurizio Crozza 12 – Ballarò 17 maggio 2011

∞ Produzione di futuro ∞

Che ci sia un’Italia migliore, probabilmente, non lo sa soltanto Nichi Vendola. Il mondo dei giovani impegnati, dei padri che sfangano la giornata riproducendo sorrisi grossi quante le bollette ed i mutui, delle donne che lottano per non soccombere sotto il peso dell’indifferenza o, peggio, della gravosità sessista. Che ci sia un’Italia migliore lo dice l’impegno delle Fabbriche di Pomigliano e di Mirafiori, di quei nuovi sfruttati in tuta blu che oppongono i loro dieci, cento, mille niet all’imposizione dall’altro di un sistema economico strutturato giust’apposta per incatenarli a vita, forse a morte, su un posto di lavoro ingrato ed infame, di quelli che l’esistenza e che drenano le energie. Che ci sia un’Italia migliore, poi, ce lo dice anche la Fandango (appunto, “C’è un’Italia migliore. Dieci passi per avvicinarci all’Italia che vorremmo”, Nichi Vendola e La Fabbrica di Nichi, 2011) e ce lo dicono i nuovi costruttori della democrazia. Quelli che, indipendentemente dai simboli di partito, non hanno scelto l’immobilismo culturale e politico. Quelli che hanno smosso mari, monti e qualche pianura per sbarcare in Puglia gli studenti fuori sede e negare al potere di difendere se stesso attraverso la partecipazione corale.

Sono loro, insieme con Nikita il rosso, gli autori del libro. Sono le loro esigenze ad incarnare, in perfetto stile vendolese ed in perfetto linguaggio vendolese, ed in perfetto accordo ideale con il leader di Terlizzi, figura oramai cardine del centrosinistra dell’oggi e del domani, le soluzioni. Da qui passano le strategie. Tanto che il decalogo contenuto nel libro altro non è che una lunga discussione, ma anche un documento politico, un programma di partito, una collezione di propositi. Sfide e necessità, dall’urgenza del recupero della città, alle ricette per l’economia, dalla pazza scommessa (vinta) delle rinnovabili, all’esigenza della cultura. Con la scuola sullo sfondo e l’aura di don Tonino Bello fluttuante e veleggiante ed una eccessivamente misticata immagine della Puglia, Nichi ed i Nichini cantano alla luna l’ode della speranza. Talora, forse, con eccessivo compiacimento, talaltre calcando con eccessiva pressione la penna della speranza sul foglio del presente.

E poi predizione profetiche. Quasi come in uno dei tanti editoriali su Fukushima, i fabbricanti picconano impietosamente le strategie nucleari della cricca atomista. Un’avventura di cui “l’Italia non ha bisogno”, perché “antieconomica”. E, soprattutto, per quel cartello non in vendita che recita: “Cernobyl non è più qui”. L’ha spinta lontano la voglia di partecipazione alle sorti di territorio, il desiderio di abitare città che siano “la scena dell’agire insieme, non più dell’ideologia della salvezza individuale”, dove ognuno viene prima di tutti. Forse, e forse soprattutto, l’ha spinta alla deriva la sequela deprimente di fallimenti dell’atomo, dal caso ucraino a quello giapponese. Con il precedente di Three Miles Island, Usa.

Piuttosto, il libro regala un omaggio alla strategia delle rinnovabili (anche se con il limite di non mettere mano ad un piano organico, ma in linea tutto sommato teorica), come forma nuova di rispetto dell’ambiente. Come, in più, alternativa ad un sistema distruttivo e logorante, che utilizza tutto lo specchio delle risorse della terra per farle propedeutiche alla produzione, al soddisfacimento delle impellenze economiche prima ancora che umane. Come resistenza al capitalismo predatorio, antidoto all’“istinto maldestramente mercantile” che accompagna le scelte dei governanti a tutto scapito della creatività.

Un viaggio nei meandri dei principi che hanno fatto il vendolismo e che lo perpetuano. Nel tornio di quei grossi capannoni valoriali che sono le Fabbriche che portano il nome del governatore.
Nichi Vendola e La Fabbrica di Nichi, “C’è un’Italia migliore”, Fandango 2011
Giudizio: 3 / 5 – Eccessivo

Le immagini di Nichi Vendola (rec. “Le parole del futuro”)

È facile intuire come e perché Niki Vendola, il giovane omosessuale comunista, dissacratore della politica cristallizzata, prorompente rivoluzione dell’oratoria pragmatica migliorista, abbia ingollato, metabolizzato ed esteriorizzato la categoria del sogno, riproducendola sottoforma di una politica refrigerata dal soffio della fantasia. Quando vieni da Terlizzi, vivi vedendo accanto a te morire giovani compagni, uccisi dai fascisti, e ti ritrovi catapultato, valigia, aneliti ed affini nelle stanze imponenti ed attraenti di Botteghe Oscure, non si può fare a meno di somatizzare l’amore sottoforma di passione montante.
Un anno prima di quel giorno da leone che lo catapultò nella scala mobile e che lo ha portato ad essere, ad oggiAggiungi un appuntamento per oggi, uno dei politici più amati, lo racconta lui stesso, con religioso silenzio aveva omaggiato la salma di Enrico Berlinguer. Anche lui, ragazzo, in fila. Anche lui, ragazzo fra ragazzi e ragazzo fra vecchi compagni di vita e di Storia, varcò la soglia della camera ardente con il lutto nel cuore.

Come il leader sardo, Vendola ha l’innata capacità di frantumare i limites comunicativi. Come il leader sardo, Nikita il rosso ha saputo introdurre nei palazzi del potere il vento popolare, le voci dei pensionati, le esperienza degli ultimi, i racconti dei pescatori, le storie dei bambini. Ha dato alla politica un volto umano, parvenze di carne e non già odore di soldi maneggiati dalle minoranze di petrolieri, faccendieri ed imprenditori.

Il Vendola vero ce lo racconta Gianluca Arcopinto ne “Le parole del futuro. La ballata di Nichi Vendola”. Edito da Limina, il cofanetto, contenente un libello ed un dvd, sfrutta tutto il campo delle emozioni del Governatore pugliese. Come in una biografia dalle forti tinte teatrali, a tratti commedia, ma soprattutto dramma, la vita di Nichi si dipana grande quanto il Tavoliere ed il mare del barese, delicata ed insieme emozionante come le distese d’ulivo murgiane e le fortezze normanne, poi sveve, poi angioine.

Tre capitoli il libro, “Le parole del futuro”, con fuoco incentrato su quel primo, letterale atto d’amore di Nichi nei confronti del suo eccelso maestro di vita, don Tonino Bello. Vescovo di Molfetta, vero innovatore sociale, sovvertitore dei canoni sociali consolidati, è lui a stanare dal corpo di Vendola, l’anima di Nichi. Con un martello chiamato Sarajevo. Ed il rivoluzionario gentile lo ringrazia a modo suo, dedicandogli l’impegno, standogli vicino sino alla fine ed eternificandolo con le parole. Braccia conserte, lupetto nero sotto giacca grigia, semplicemente lo immortala definendolo “il più formidabile profeta del pensiero meridiano, di un sud del mondo che annuncia l’importanza di tuffarsi nel mare”. Nella voce, la frattura della commozione, l’alterazione del sentimento.

Tre parti anche per il grande film “La ballata di Nichi Vendola”, ed in mezzo sempre lui, Nichi. In correlazione con i suoi eroi (Don Tonino, ma anche Berlinguer e Pasolini) e faccia a faccia con la sua storia personale. Svetta l’amore per il Pci, partito in cui fu sempre considerato un ribelle ma alla cui frantumazione si oppose strenuamente, per far sì che quel baluardo, che era un simbolo popolare prima ancora che una zona di confluenza militante, non cedesse sotto i colpi delle esigenze mercantili. E nel primo capitolo del film, Vendola dedica al Partito Comunista parole forti, emozionate, sentite.

Eppure è in quello successivo che si ritrova la ragione dell’intero lavoro di Arcopinto. Nell’incontro fra Nikita (“come mi chiamavano le mie zie, tutte morte”, anche loro simbolo del Pci) e Corso Salani innanzitutto, ma anche nell’incontro con Via Capruzzi, con il mondo delle primarie e la nascita del suo popolo. Che è realmente “suo” personale. Suoi operai dediti alla sua causa. È nel 2005, nella corsa al cambiamento dall’interno, nell’accettazione della sfida di Raffaele Fitto (e del Pd di Francesco Boccia), che risiede la ragion d’essere di questo dvd e dell’intero lavoro.

Descrivere Vendola, vivisezionare Vendola, tassellare Vendola, studiare Vendola vale realmente la pena. Le sue parole, quelle “del futuro”, già sarebbero abbastanza. Aggiungerci le immagini, la scorsa di operai di Melfi e dei funerali di Berlinguer, è il grande merito di Gianluca Arcopinto. L’aggiunta di un sogno alla narrazione.

Gianluca Arcopinto, “Le parole del futuro. La ballata di Nichi Vendola” (libro+dvd), Limina 2010
Giudizio: 3.5 / 5

 

SeL buongiorno si vede dal congresso…

Aspettando il sole. Il primo congresso di SeL Foggia aveva questo titolo. Il sole è stata l’unica promessa mantenuta. Vero, perchè tutti i propositi di celebrare i funerali della vecchia politica, di suonare i requiem delle vecchie consorterie sono sostanzialmente falliti.

Pierluigi Del Carmine è stato eletto coordinatore cittadino di otto circoli cittadini a marchio vendoliano. In settimana, Beppe Di Brisco lo aveva, senza andare troppo per il sottile, invitato alla riflessione. Gestire un partito, era il ragionamento, non è un hobby o un dibattito al Bar. Giusto. Tanto più che SeL, in questo specifico momento, avrebbe bisogno di un segretario, non di un Pr. Di una persona capace di gestire le anime interne. Se necessario, di fare pulizia, riconducendo SeL sui binari giusti. Si è all’esordio ancora. E le scelte che si fanno adesso si proietteranno ineluttabilmente nel futuro. Quindi, la forma che il partito assumerà ora, sarà quella pressappoco definitiva. Ecco perchè serve un’ammissione di onestà, un trionfo di pulizia. E questo è un giudizio politico.

A voler essere sinceri, la permanenza ai vertici di gente come Rizzi e Cannerozzi, l’intrusione di “figuri” (mi permetto di mutuare questo termine da una discussione che anima il web) alla Lomele, non induce a pensare positivo. In un contesto normale, non berlusconizzato tanto a destra quanto a sinistra, li si dovrebbe veder correre in preda al terrore inseguiti da una folla inferocita armata di torce e forconi per tutta la provincia di Foggia. Chissà passi, di fronte al timore, l’appannamento della ragione attuale. Dicono che Lomele sia una ricchezza. E dicono che Laricchiuta è qualcosa di meno che un fallito. E’ incredibile la loro capacità di perdere il contatto con la verità. Vi immaginate, chessò, nel Pd Bersani martellare la Finocchiaro per difendere Paolo Campo?

Perché tiro in ballo il Pd? Ma perché l’appetito vien mangiando. Tesseramento. In occasione del congresso consumato nel 2009 – quello della dicotomia Bersani-Franceschini e Blasi-Emiliano-Minervini – uno scagnozzo un pò cresciuto di Paolo Campo, pur non necessitando alla mozione ulteriori numeri ed in barba ad ogni regolamento interno che, in breve, scandiva la norma “una testa, una tessera” (gentilmente fatto rispettare per le mozioni Marino e Franceschini di Capitanata), pose sul tavolo dell’allora federazione provinciale di Via Lecce un pacchetto di 300 tagliandi. Questo, nell’ultimo secondo utile del tesseramento. Bene, le differenze sono ben poche con l’attuale vertice di SeL.

Ma c’è da sfatare un dato. E si, perché, quanto a maneggiamenti, i piddini non sono secondi a nessuno. I tesserati SeL 2010, per bocca dello stesso Lomele, non sono 650 ma poco più di 420. Quel che resta, però, è un metodo dal sapore antico ed insieme beffardo, creato sul consenso di una maggioranza creata ad hoc, artefatta. Molto simile, per intenderci, alla compravendita dei parlamentari in atto sull’asse Pdl-Fli-Udeur-IdV. Insomma, la malafede è cosa provata e riprovata. Non basteranno atteggiamenti carichi di pathos e di sentimento, scimmiottamenti di discorsi emozionati a convincermi del contrario.

Ci sono sole tre ragioni in cui è ammissibile credere l’inverso:

1. Se privi di sogni e speranze.

2. Se ignoranti – “nel senso che ignori”, cit. -. Ovvero, se non a conoscenza dei precedenti di cotanti uomini

3. Se interessati al cadreghino miserrimo e momentaneo.

Nel primo caso, le giustificazioni sono così tante e motivate da indurre al perdono. Ovviamente, e non potrebbe essere altrimenti nel magico mondo di SeL Foggia, non solo i sogni e le speranze non esistono. Ma, anche quando le si brandisce, lo si fa con il solo intento di procurarsi una decina di minuti di arrogante notorietà, un momentaneo affacciamento alla finestra dell’emulazione vendoliana. Ma, anche in questo caso, l’innocenza diventa colpevolezza. Perchè ai sogni, così facendo, si sputa in faccia, li si schianta sotto il peso del sannicandrismo più becero e materiale (compagni, materiale non materialista) di un fratoiannismo di provincia che rende piccoli piccoli così.

Si sa, però, anche, che più si è piccoli ed insulsi più si è funzionali al potere. Ed il potere, servendosi della sua complessa rete di arguzie e frasi fatte, di strisciante approvazione e di parole a mezza via tra il sì ed il no, di promesse fasulle e pretenziose, riesce a convincere queste mosche di essere splendide crisalidi. Sempre di entomologia si discute, certo. La differenza, tra l’una e l’altra specie, è nel cibo. Si è pronti a mangiar merda pur di soddisfare il proprio ego, pur di pompare il proprio senso di magniloquenza.

Quanto alla seconda imberbe categoria – quella degli ignoranti – beh, il congresso ha palesato tutte le carte che certi figuri sono capaci di mettere in campo. Una complessa geografia urbana popolata di indefessi portantini e loschi quanto insignificanti alzatori di delega. Ad uso e beneficio di chi non c’era: il congresso è stato letteralmente determinato da un umanità scurrile ed intollerante alle norme. Deciso da uomini e donne (eufemismo) pronti a seguire il capetto di quartiere ovunque. Non è un caso che il craxismo imperante lo induce – quel ras insolente – a far dichiarazioni del genere: “Io ho dato forza a SeL ed io gliela posso togliere in qualsiasi momento”. Al cambio della stagione, siam certi, un’altra Federazione gli aprirà le porte. Un altro Domenico Rizzi gli darà alloggio, un nuovo fedele Cannerozzi gli proporrà le chiavi dell’alcova per violentare indisturbato le regole e la partecipazione. Altre fabbriche lo accoglieranno a braccia aperte per vincere un nuovo congresso a colpi di monosillabi foggiani e spallate all’educazione ed al rispetto. Ed anche altrove nasceranno inedite alleanze fra ultras e docenti, fra esagitati urlatori del sabato e sedicenti strateghi della politica locale.

In ultimo c’è la genìe più improponibile ed ingiustificabile. Quella scaturita dall’utero viscido della lordura opportunistica. Quella di chi usa l’ignoranza come strumento di vanto, di chi si ammanta le labbra di parole altrui, certi che, alfine, il peso specifico è insignificante. Non ce ne voglia il buon Pierluigi (rinsavisci Piero!), ma se anzicchè parlare per bocca di altri, avesse ripetuto per venti minuti la parola “Culo”, almeno avrebbe provocato il riso dei tanti bambini presenti in sala. Ed invece neppure loro l’hanno capito. Neppure loro, come molti, non si spiegano questi affronti diretti sparati a muso duro contro l’evidenza. E, se vuole smentire la sua inettitudine, ora ha il tempo per farlo.

Narrativamente abita Nichi (rec. “Nichi Vendola. Comizi d’amore”, L. Telese, Aliberti)

Nel nuovo dizionario vendolese-italiano, italiano-vendolese – che è uno e, da sempre, si aggiorna, si ravvede e si corregge in modo automatico a seconda dell’impiego ricoperto da Nikita – c’è una parola che acquista più significato di altre. Preliminarmente, va detto che, questo dizionario, è in realtà un enorme tomo che include paroline e paroloni, esemplificazioni e locuzioni, in quantità vasta e sfaccettata. Questa parola, che in fondo non è nemmeno una parola ma un modus vivendi, una carne viva, è “narrazione”. Nichi non dice, narra. Nichi non parla, narra. Nichi non arringa, narra. Nichi non comizia, narra. Nichi non vive, narra. Riflessivamente, Nichi non si fa votare, si fa narrare.

La narrazione vendoliana è pensiero individuale spinto alla dimensione collettiva. È l’imposizione dolce di un sentire intimista. È l’osmosi emozionale, la comunicazione intellettiva del leader-amico nei confronti del suo popolo. È, gramscianamente, l’intima connessione con la gente. La narrazione di Vendola diventa, in questo modo, narrazione di popolo. Perché è nelle parole e nello stesso tempo si serve delle parole, vive nelle parole. Ma non è solo parole. È la capacità di trasporre nei palazzi quel sentire comune, di realizzare i desideri di qualcuno degli ultimi. È la parte buona del populismo, sempre che di populismo vero si tratti. La narrazione di Vendola è sapore di entroterra murgiano, odore di forno al mattino, stallatico del Salento, salsedine del Gargano. Nessuno come Nichi, il puer Terlicii, lo stupor Apuliae – tanto per miscere fra loro, adattandoli, gli epiteti federiciani –, è stato capace, prima, di annoverare in sé tutte le caratteristiche di tutte le zone della regione del tacco. Riassumere antropologie diverse e distanti, spesso in conflitto fra di loro.

Vale una cifra quello che Luca Telese, in una a tratti commovente analisi, scrive in “Nichi Vendola. Comizi d’amore” (Aliberti, 2010): “Se c’è un leader di cui vale la pena di vivisezionare, collezionare e raccogliere le parole, quello è Vendola. A pochi uomini politici vengono concessi la fortuna e il talento di potersi costruire una lingua propria, un repertorio di immagini, di stilemi, di capacità di evocare visioni ”. Vero. Telese Vendola l’ha conosciuto, l’ha scrutato, ha vissuto con lui spiccioli di giornate lunghe, metropolitane romane e comizi. Di quel Nichi, che si oppose alla scissione del Pci vivendo il momento con dolore immane; di quel Nichi che si intuiva essere non diverso, ma il più diverso di tutti, nella sua eterodossia militante che deve rendere conto soltanto alla fantasia; di quel Nichi che sfangava la giornata dividendo un’umile casa con Franco Giordano, Luca Telese ha un ricordo vivido. Di quel Nichi conserva un discorso, il primo, l’unico non tenuto a braccio, ma scritto. Annus domini 1984. In appendice al testo, Telese lo pubblica per intero. Come fa con altre decine di frasi vendoliane, divise per argomento.

Ne viene fuori un tripudio di colori, una deflagrazione di sentimento e di ironia di un uomo fatto politico, poi leader, poi presidente, poi ancora leader ma non per questo meno presidente, politico, uomo. Nelle parole di Telese si legge tutta la sorpresa di un sogno realizzato, la scoperta del senso della “narrazione”. Narrazione come quella penna immateriale di inchiostro rosso che verga, capitolo dopo capitolo, in un rutilare rigurgitante di parole composte, una grande storia politica. Una storia destinata, determinata. Ineluttabilmente diretta alla vittoria perché ricca di sconfitte. Nichi ha vinto – ci dice Telese in un’analisi lucida – perché, da sempre, ha perso. E perché, man mano che perdeva, andava scegliendo sfide sempre maggiori, salite sempre più impervie, avversari sempre più potenti.

E perdeva in modo propedeutico, didattico. Perdendo irrobustiva l’animo e rassodava i muscoli. Mica comeD’Alema, eterno sconfitto e, a livello di realpolitik spiccia, fuori dai giochi. “Se si legge la carriera di D’Alema con gli occhi della realpolitik che lui voleva imporre alla Puglia, si dovrebbero registrare un cumulo di fiaschi. Ciò che resterà del dalemismo reale, paradossalmente, è la scrittura quasi letteraria di un personaggio affascinante e drammatico, un carisma algido ma innegabile, un combattente indefesso, oppure molto vicino alla dimensione fantastica del Don Chisciotte”. Così Telese sul baffo più celebre di Montecitorio e dintorni. D’Alema che è le sue sconfitte. Al contrario, Nichi ha le sue sconfitte. Poi riparate. La sintesi suprema di una narrazione appena iniziata.

Luca Telese (a cura di), “Nichi Vendola. Comizi d’amore”, Aliberti 2010
Giudizio: 3.5 / 5 – Narrazione di narrazione

Nichi V. a mani piene: “Prendo voti anche a destra”

L’ha detto. E, questa volta, ne ha fatti arrabbiare parecchi. A sinistra, a destra, al centro. “Io prendo voti a destra”. Un vanto. È qui, agli occhi di Nichi Vendola, ieri intervistato da Lucia Annunziata durante la trasmissione di Rai Tre, “In mezz’ora”, che si colloca il segreto del suo successo. Lui è il grimaldello. Il paese la porta. La maniglia quella saccoccia di voti trasversali che attingono qui ed attingono lì. Attingono dappertutto.

Il rivoluzionario gentile è una vecchia volpe della comunicazione. Sa di essere, mediaticamente più ancora che politicamente, il personaggio del momento. È per questo che gioca con le parole, miscela le strategie, riporta in auge tutto il messaggio che gli è confacente.
Una faina. Scaltro. Giacca grigia, camicia bianca, cravatta. Più formale, ma combattivo nell’identica maniera. Nikita il rosso scalda i motori, olia i circuiti. È già in palese assetto da guerra. Di fronte alla battagliera giornalista de La Stampa si presenta in modalità rullo compressore. Infervorato. Come lo era stato nel 2005. Come, a gennaio 2010, nella gremita e gelida Piazza del Ferrarese chiudendo la lunga campagna delle primarie.
Vendola conosce alla perfezione ciò che la gente si attende da lui: la rinuncia a volare basso. E, pertanto, spicca il volo. L’empireo è quello dei sogni, delle speranze, delle costruzioni, “della narrazione”. Svetta, plana, torna in alto. Gode dell’assist servitogli al primo minuto utile dalla conduttrice salernitana. Julian Assange. Gode sul serio. E lo dice: “Provo godimento fisico nei confronti della rivoluzione mossa da Wikileaks”. Democrazia che ha scardinato i poteri forti, freccetta a bersaglio sui mirini gommosi delle banche, delle burocrazie mondiali, delle ambasciate, dei potenti. Vendola empatizza con l’attivista australiano. Si sente molto simile a lui. metaforicamente, si vede come un Assange del palazzo di cemento della politica.

Fa da bomba, da kamikaze. Sventra spietatamente la partitocrazia della chiusura, le elite aristocratiche in giacchetta nera. Nel contempo si annovera nella schiera dei decisori e prova a smarcarsene. Sulla violenza di parte degli studenti, ad esempio: Roberto Saviano è “cattedra credibile”, Maurizio Gasparri latore di una strategia “argomentativa che annuncia il fascismo”

IL PD – Ma è quando entra in gioco il capofila dell’opposizione a Berlusconi che Nichi Vendola mostra tutti i suoi muscoli. Stuzzicato dall’Annunziata, rifila botte da orbi ad Enrico Letta che, via giornali, lo accusava di concussione berlusconiana contro Romano Prodi. E uno: “Attacco ad alzo zero da parte di chi manifesta una linea politica confusa ed un orizzonte inquietante e poco chiaro”. E due: “Se Letta dedicasse alla Gelmini la stessa forza che usa contro di me, avremmo affossato il decreto della Ministra”. E tre: “Quello di Letta è un teatrino lontano dalla realtà in un Italia che è un paese dal profilo ottocentesco”.
Sulle macerie del Partito Democratico Vendola passa e ripassa con tanto di scarpe chiodate. Strana, stranissima, però, è la strategia e la posizione che, di volta in volta, assume. Più di una volta, la conduttrice si lascia sfuggire un chissà quanto involontario “segretario del pd” riferito proprio al governatore rosso. Che non ribatte una sola volta. Sogni di svolta? Chissà. Fatto sta che gli affondi nei confronti del partito di Bersani sono molto duri. E vanno a segno. In primis in merito all’alleanza “con un terzo polo renitente” e alle lusinghe finiane (“Come si può pensare a progettare il nuovo centrosinistra con chi sta esplicitamente ammettendo di voler rifondare il centrodestra?”). Ma del Pd, Vendola si spinge a reclamare anche la base: “La base del Pd mi chiede Unità”

LE PRIMARIE – Vendola assalta il fortino democratico anche in merito alla gestione delle emergenze sociali. Parla di “autismo dei partiti che non sono in grado elaborare risposte all’altezza dilemmi società oggi”. E, soprattutto, discute di come tornare a metter al centro della discussione politica la gente. Ovvero, attraverso quel metodo democratico “che ho imparato dal Pd”: le primarie. È interessante costatare che è proprio alle primarie che Nikita il rosso dedica la maggior parte del suo discorso. Ed è alle primarie che riserva il lusso di coniare logismi e locuzioni tutte vendo liane. Sulla forma di scelta, Nichi Vendola si concentra fin quasi al lirismo, tanto che, a tratti, le primarie finiscono per essere: “la leva che solleverà questo mondo della politica”, ciò che “illumina la scena politica di una platea che si mantiene sovrana”, “il lievito che fa bene ad un centrosinistra in depressione”, che impedisce la riduzione ad un panorama in cui “il popolo è come in una curva sud mentre la politica la si fa in campo”.

È in questi passaggi conditi di un tocco di sbruffoneria che V. si avvicina a B. Sono questi i momenti in cui avoca a sé il possesso dell’appeal, un’autofascinazione calamitica cui è impossibile astrarsi. Quando V. spazia di campo in campo: un po’ Berlinguer, un po’ Allende, un po’ Sinistra e Libertà, un po’ leader Pd, un po’ Governatore, un po’ premier futuro. In pectore. Vendola diventa V. nella formula provocatoria. Nel “se sono quello che ha preso solo un milione di voti alle Europee, il Pd di cosa ha paura?”; nell’ “ho vinto le primarie con il 70% mentre la mia formazione, anche in Puglia, non va oltre il 10%”. Rivendica i suoi voti. Come B. è qui che il Governatore inciampa ponendosi come depositario di un consenso diffuso che non solo trascende Sel, ma travalica la sinistra, arrivando a quelle “famiglie che vanno in chiesa la domenica, le famiglie ipermoderate angosciate per il futuro dei figli”.

Il dado è tratto, il cammino è incominciato. Nichi è in marcia. Roma non è lontana.

Nikita ed i suoi sogni di (non) anarchia

Nichi Vendola, the governor of the southern Italian region of Puglia

Essere o non essere. Con il teschio in mano, Nichi Vendola, scespirianiamente, si interroga sul suo immediato futuro. Tempo concesso sul palco di Lungomare Nazario Sauro, una settimana o poco meno.

Gli scenari possibili dipendono, in primis, dal futuro di Silvio Berlusconi, dalla fiducia che scaturirà o, verosimilmente, non scaturirà dall’emiciclo. Merchendising o meno delle casacche parlamentari. La crisi di governo infatti, al di là dell’esito del voto del prossimo 14, è acclarata. Ed è acclarata perché il laboratorio Campania, ovvero quella stanza resa asettica che avrebbe dovuto essere la sua vera forza, il vaso in cui impiantare il seme del futuro del suo centrodestra, gli si è ritorto contro.

Nella Terra del Lavoro, la Campania felix di Cosentino e della Carfagna, di Bocchino e di Caldoro, il Popolo delle Libertà si è perso nelle sue beghe locali, adombrato nelle sue clientele, sperso nei suoi mille particolarismi, nelle tentacolari metastasi politiche delle consorterie. Dalle stelle alle stalle nel giro di un soffio. Il dito puntato di Fini è stato l’inizio delle danze, la miccia che s’innesca, la promessa di ritorsione. “Diamo fuoco a questa baracca”. Avvampati nel calore rosso fuoco, sono andati in fumo anni ed anni di cauta costruzione politica, di compromessi e cedimenti ora di una parte del partito, ora dell’altra. Sono finiti nel rogo, Silvio-Giovanna D’Arco con tutte le sue idee.

 

E la storia è cambiata. Quella storia iniziata 29 marzo 1994, ovvero appena nove giorni dopo la morte misteriosa di Ilaria Alpi (il filo non è così sfilacciato, ma tra l’uno e l’altro evento ci sono connessioni forti ed oggettive: l’accordo Urano, lo smaltimento dei rifiuti tossici in Somalia, faccendieri e massoni al potere con mansioni fondative di Forza Italia, la P2, Licio Gelli, la tessera 1816, le stragi di stato, il patto mafia – potere, Dell’Utri e le mediazioni, Emilio Fede, Craxi, Mediaset…). Quella storia nata con una dichiarazione d’amore di Silvio-Romeo a Giulietta-Fini nel tempo in cui, quest’ultimo, sfidava (perdendo) la sinistra rutelliana al Comune di Roma. E finita a piatti scagliati l’uno contro l’altro. Di quest’amore, Fini è colpevole quanto Berlusconi. si sono amati follemente e si sono odiati di brutto, si sono divisi e riuniti, si sono sposati, minacciati di divorzio, riappacificati ed ora chissà.

 

In questo gioco delle coppie che scoppiano, tutto il fronte delle opposizioni attende. Il Partito Democratico non fa nulla. Attende e basta. E, per una strana combinazione della sorte (ma nemmeno tanto visto che fare nulla è quello che sa far meglio), ha ingarrato la mossa. Vince senza combattere. Era l’unica possibilità per un non partito di far fuori, politicamente parlando, il più ostico degli avversari: aspettare che la destra fagocitasse se stessa.

In tutto questo, l’epicentro politico è un altro. Ed è Nichi Vendola. Il Governatore rosso, il lider maximo della Puglia e dei pugliesi, la guida spirituale degli asceti della nuova politica, il nuovo che impazza, usa le armi del berlusconismo per berlusconizzare il centrosinistra.

Si interfaccia con le masse, rigetta le mediazioni intermediarie, si spinge al di là delle strategie, scarabocchia le facciate e cerca di stravolgere i tatticismi del politically correct. Bada a non perdere alleati senza rinunciare a catechizzare i suoi. Usa i media ogni volta che i media lo cercano. Teorizza ricette e le prescrive acché il paziente democratico ne faccia corretto uso. Due volte in sei anni ha costretto i caporali post comunisti, i feudatari del Salento, all’endovena di schede elettorali. Due volte ha battuto la sinistra per poi fare i conti (e battere) la destra. Dalla sua parte annovera schiere di giovani ed intellettuali. Dispone di professionisti ed operatori del mondo della cosiddetta società civile. E, paradossi della nuova politica al tempo di Silvio, ha disposti dalla sua parte i più centristi dei piddini.

Non una tentazione progettuale eroticamente attraente, ma un accordo a breve scadenza. E quel nome che fonde, unisce e confonde chi il potere non ce l’ha e, perciò, se lo vuole giocare: le primarie. Un cucù settete politico. Un giorno le vedi, un giorno scompaiono. Alternanza utilitaristica.

Si a quelle di coalizione, si alla scelta dei leader, dei presidenti, dei padri padroni dei partiti. No a quelle per i parlamentari (domenica scorsa, in occasione della prima Assemblea Regionale di SeL le ha bocciate ineludibilmente, con stizzite reazioni di Michele Emiliano – “un immenso passo indietro” – Antonio Decaro – “quando si tratta di restituire ai cittadini la sovranità popolare, fa retromarcia” – e Sergio Blasi – “Noi le facciamo, SeL no”).

Se oggi Berlusconi cadesse e si dovesse andare a votare, forse Vendola sarebbe il candidato mediaticamente più forte. A differenza di Pierlu Bersani, conta seguiti omogenei nella penisola. E, ad eccezione di sporadici casi regionali o addirittura provinciali, le centurie di Sinistra Ecologia e Libertà e gli operai trasversali, stakanovisti ed a cottimo delle Fabbriche che portano il suo nome (caduta di stile, usare il termine Fabbrica se, realmente, si cerca il rinnovamento…), hanno annesso tutti i territori italici. Con ovvie roccaforti nella città levantina e nella regione che l’ha eletto a torre di guardia contro gli assalti nazionali di nuclearisti e monnezzari nordici.

E Nikita il rosso non fa mistero – non l’ha mai fatto – dei suoi sogni di potere. In occasione dell’ultima assemblea regionale di Rifondazione Comunista nel 2008, dato in certa uscita, confessò argentinamente di preferire il governo alla lotta. E, ancora ieri, sentito dalla Bbc in merito alla sua voluttà presidenziale, ha laconicamente risposto: “Assolutamente sì”. Proprio quell’emittente che si lancia in lodi sperticate verso il leader pugliese, conclamandolo come “il nuovo Obama”.

 

Vendola, è chiaro, è sulla strada del suo massimo splendore. La sua scelta nazionale, la trasmigrazione romana, l’ingresso in Parlamento, questa volta, dalla porta principale, significherebbe, tuttavia, l’inizio di una nuova era ma la fine del sistema Puglia. Di quel grande, grandissimo esperimento cui lui stesso ha posto mano scacciando senza mezze misure, i cattivi maestri dalle stanza dei bottoni baresi. Il suo prematuro abbandono farebbe ripiombare la regione nell’identico baratro da cui l’ha fatta venir fuori.

Ci pensi, Vendola. E ci pensino tutti quelli che, al suo seguito, vorrebbero chiudere gli occhi per qualche anno gongolandosi in sogni capitolini.

L’intervista rilasciata da nichi alla bbc è al link http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-11938665

l’articolo è editoriale di Stato Quotidiano http://www.statoquotidiano.it/09/12/2010/nikita-ed-il-futuro-romano/38700/

Silvietto fa il Ruby-condo e fa incazzare Niki. Il Satrapo è alla fine…

Ti piacerebbe eh?

 

El Pais, Spagna: “L’ennesima battuta di dubbio gusto”. El Mundo, Spagna: “Nuove dirompenti dichiarazioni”. Daily Mail, Inghilterra: “L’ultima spacconeria macho di Berlusconi”. Le Parisien, Francia: “Scivolone omofobo”. Le Monde, Francia: “Nuova provocazione di un uomo sotto pressione per l’ultima intesa”. Liberation, Francia: “Una nuova berlusconata […] Incredibile che sia a capo di un paese europeo”. 20min, Svizzera: “Berlusconis Affaren”. Bild, Germania: “Bunga-Bunga-Affare”. La Nation, Agentina: “Frase discriminatoria”. Times of India, India: “Better to be found beautiful girls than to be gay: Berlusconi”.
Meglio essere appassionato di belle ragazze che essere gay”. Manco fossero un jet. Queste parole pronunciate da Silvio Berlusconi hanno girato il mondo in lungo ed in largo. Indignando, sorprendendo, sbigottendo. L’ennesima dimostrazione di machismo di un uomo alto un metro e sessanta. Piccolo piccolo, direbbe Caparezza, “come un coriandolo”. Infimo nel modo di essere, di fare e di parlare, chiaramente privo di filtro, incapace a distinguere la bettola dalla platea, il ruolo di premier da quello di avventore.

Dice che è “meglio essere appassionato di belle ragazze che essere gay” con la stessa naturalezza con la quale un poppante caccia fuori il ruttino dopo il latte. Con la sostanziale differenza che, per l’infante, la mammella materna è vita, sussistenza, cibo. Per Berlusconi è l’imprescindibile spunto per un apprezzamento, la maniacale strategia di corteggiamento, il miele attorno cui ronzare. Il bambino ha il limite di decenza che il Cavaliere ha smarrito nelle nebbie della perversione. Dategli un seno diverso, ed il lattante non succhierà più, non riconoscendo sé stesso nell’odore che lo circonda; alienato dal rapporto puro, il bambino si stranisce. Al contrario, l’uomo dalla bandana di ferro, le mammelle le rincorre. Ammicca ad ogni donna come un Don Giovanni sciatto e cadente. Con il suo andazzo italo-americano e lo sciame di facchini (alcuni dei quali sono in procinto di trattare la resa come generali sconfitti in guerra), sempre pronti ad incarnare la personalità del padrone, Berlusconi cade e ricade nel vizio. Lussureggia, bavoso, dietro soubrette ed escort. Porta in parlamento veline e segretarie da sotto scrivania, nel peggior stile da Prima Repubblica.

Mai nessuno, neppure nei periodi bui della storia d’Italia, era stato capace di scandali ed abusi di potere in quantità tale da generare un frastuono mediatico di proporzioni immani. Tutto il mondo dell’informazione sbeffeggia sullo stato dell’Italia. Di un paese il cui padre padrone si serve del potere per trarre da galera o commissariati le sue scimmie ballerine. O, per dirla alla Fabrizio De Andrè, le “troie di regime”. Ruby è una di loro. Volontario ingranaggio della ruota del sistema berlusconiano, dove il meccanismo è il denaro, le lancette i corpi abbronzati delle modelle, e l’olio lo sperma.

L’Italia è giunta alla fine della decenza e all’avvento della Gallocrazia. Siamo al regno dei cedroni della stia, lat(r)in lovers cresta per corona e banconota arrotolata per scettro. All’occorrenza buona per finire sotto un naso. Conviene chiuderla, allora, questa bottega mefistofelica. Questa fabbrica dello squallore con sede legale a Montecitorio e decentralizzazione in ville sarde con vulcani e piante esotiche, strabordanti di satrapi napoletani e pagliacci dell’affare.

Meglio le donne che essere gay, motteggia oggi Berlusconi. Perché non “meglio pedofilo che ricchione”? O, in salsa mussoliniana (Alessandra, mica roba grossa), “Meglio fascista che frocio”? In fondo, indistintamente, per Silvio vanno bene tutte e tre. Lui che, come ha ribattuto Nichi Vendola, che gay lo è per davvero e non ne ha mai fatto mistero, sta violando “i limiti che legge e il buon senso impongono” con “ninfe, escort, festini”.

Ed è da Nikita che parte l’affronto più duro verso la tronfia milanesità del cav. Non a caso. Il segugio salentino del premier, Raffaele “Big Jim” Fitto, ha giocato un’intera propaganda elettorale sottolineando l’incompatibiltà fra mansioni di governo e omosessualità. Ha rombato sullo sfacelo morale concretizzato nell’orecchino vendoliano, vomitato ingiurie su quel modo di essere diverso, opposto, non normale. Quello status che, per lui e per la manfrina del potere destrorso di Puglia, ha significato due volte sconfitta.
Nikita se l’è presa sul serio. Mentre Pierluigi Bersani accusa Silvio di essere “ridicolo”, Vendola entra nel merito: “È diventato di giorno in giorno più insopportabile lo stile con cui hai condito i tuoi mille monologhi con battute sessiste, con riferimenti umilianti ai corpi di donna considerati alla stregua di prede per le tue interminabili stagioni di caccia, con storielle che grondano antisemitismo, ora persino con battute omofobe”. Tutte boutade? No, “battute che possono ferire”, barzellette che sono “una minuscola enciclopedia del’imbecillità”.
E, “in quanto ai gay, se un tuo figlio, un tuo amico, un tuo ministro lo fosse e non avesse il coraggio di confessartelo pensa a quanta gratuita sofferenza gli staresti infliggendo. Tu sei l’uomo più potente d’Italia, dovresti persino sentire l’assillo e l’onere di essere un esempio per il nostro popolo, una guida politica e morale. Hai scelto invece di vestire i panni di un Sultano d’Occidente ”.
Un sultano d’Occidente in caduta libera, ammassato fra la spazzatura partenopea e sciolto nel letame puttanifero. Immagini da caduta dell’Impero. Mancano soltanto le congiure. O forse no?



I risultati delle primarie in Capitanata

COMUNI VOTANTI BOCCIA VENDOLA
VOTI % VOTI %
Accadia 216 89 41,20% 127 58,80% v
Alberona 31 9 29,03% 22 70,97% v
Anzano 198 45 22,73% 153 77,27% v
Apricena 1395 709 51,41% 670 48,59% b
Ascoli S. 312 196 63,02% 115 36,98% b
Biccari 216 122 56,48% 94 43,52% b
Bovino 162 45 27,78% 117 72,22% v
Cagnano 506 200 39,53% 306 60,47% v
Candela 201 129 64,50% 71 35,50% b
Carapelle 231 77 33,33% 154 66,67% v
Carlantino 121 6 5,04% 113 94,96% v
Carpino 465 303 65,44% 160 34,56% b
Casalnuovo 110 71 65,14% 38 34,86% b
Casalvecchio 291 181 62,20% 110 37,80% b
Castelluccio S. 101 39 38,61% 62 61,39% v
Castelluccio V. 94 41 43,62% 53 56,38% v
Celenza 108 64 59,26% 44 40,74% b
Cerignola 1512 510 33,84% 997 66,16% v
Chieuti 103 26 25,24% 77 74,76% v
Deliceto 296 157 53,58% 136 46,42% b
Foggia 4573 1522 33,17% 3067 66,83% v
Ischitella 360 174 48,60% 184 51,40% v
Isole Tremiti 73 4 5,48% 69 94,52% v
Lesina 195 58 29,74% 137 70,26% v
Lucera 1096 182 16,64% 912 83,36% v
Manfredonia 3165 2104 65,98% 1085 34,02% b
Mattinata 574 299 52,09% 275 47,91% b
Monte S. A. 755 265 35,38% 484 64,62% v
Monteleone 214 7 3,27% 207 96,73% v
Ordona 172 38 22,09% 134 77,91% v
Orsara 657 249 38,19% 403 61,81% v
Ortanova 669 376 56,46% 290 43,54% b
Peschici 141 29 20,71% 111 79,29% v
Pietra 134 49 36,57% 85 63,43% v
Poggio 215 202 93,95% 13 6,05% b
Rignano G. 250 88 35,48% 160 64,52% v
Rocchetta 117 30 25,64% 87 74,36% v
Rodi 360 66 18,33% 294 81,67% v
Roseto V. 94 8 8,51% 86 91,49% v
S. Giovanni R. 2000 915 45,89% 1079 54,11% v
S. Marco in L. 848 329 39,07% 513 60,93% v
Sannicandro 820 388 48,08% 419 51,92% v
S. Paolo C. 429 209 48,72% 220 51,28% v
S. Severo 1785 759 43,00% 1006 57,00% v
Sant’Agata 74 53 71,62% 21 28,38% b
Serracapriola 184 114 61,96% 70 38,04% b
Stornara 368 177 48,10% 191 51,90% v
Stornarella 356 134 39,41% 206 60,59% v
Torremaggiore 997 587 59,47% 400 40,53% b
Troia 352 107 30,48% 244 69,52% v
Vico 435 166 38,16% 269 61,84% v
Vieste 917 430 47,36% 478 52,64% v
Volturino 191 108 56,54% 83 43,46% b
Zapponeta 247 183 74,39% 63 25,61% b
TOTALE 30486 13428 44,18% 16964 55,82%
Published in: on 26 gennaio 2010 at 22.29  Lascia un commento  
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