Congresso di Livorno del 1921 – Fondazione del PCI (Era venerdì anche quel giorno…)
La seguente lettera è una risposta al mio articolo. Credo sia importante riportarla integralmente. Non perché esplichi qualcosa di nuovo e di inedito sulla vita di Lorenzo. Ma soltanto per il grado di tenerezza infinita e di bene fraterno di cui si fa portatrice. Chi la scrive è Nicola, un “collega” di Lorenzo Pinto. Si rivolge, da macchinista, ad altri macchinisti. I maiuscoli sono tutti i suoi. Io, da parte mia, non posso che essere con lui, anche non conoscendolo di persona. Grazie Nicola, COMPAGNO, AMICO lontano.
Cari colleghi,compagni,la tragedia appena verificatasi (la scomparsa del macc.LORENZO PINTO)
Ci porta bruscamente alla realta’ della durezza della vita ,ma ancor di piu’ ci
Fa riflettere di quanto le persone,una volta che non ci sono piu’,
lasciano dei vuoti incolmabili.
Lorenzo oltre a essere un collega era un COMPAGNO,un amico e molto
spesso un tramite tra colleghi e dirigenza – colleghi e sindacato ,esponendosi sempre in 1’persona,un Uomo che non dimenticava mai,come spesso facciamo quasi tutti ,i problemi delle altre persone (della societa’) anche non ferrovieri; anzi ci faceva notare che nonostante tutte le difficolta’della nostra categoria eravamo fortunati ad avere un lavoro, uno stipendio una pensione al contrario di altri ,soprattutto giovani,che avevano delle serie difficolta’a sbarcare il lunaraio, e potevamo cosi utilizzare il tempo per esprimere le nostre idee.
Era una persona che cercava di tenere unita una categoria oramai ridotta
al qualunquismo ,nessuno di noi puo’negare le mail che inviava ai macchinisti con l’invito a farle girare.
Ci teneva informati delle linee sindacali,ci faceva partecipi delle sue idee,
non giudicava mai,rifacendomi a una canzone di Rino Gaetano,mai niente e nessuno senza prima averlo visto o sentito.
Penso che questa sia una grande strada che ci ha indicato, percio’ compagni ,colleghi perche’ il suo esempio non cada nel nulla continuiamo il suo lavoro ,siamo uniti scambiamoci informazioni,pensieri e soprattutto sentiamoci uniti come il nostro compagno Lorenzo ci sentiva.
Concludo,penso,non sbagliando firmando questi pensieri non con un solo nome ma con: TUTTI I TUOI COMPAGNI MACCHINISTI
e con una frase che tu dicevi sempre:
GUAGLIU’ VI VOGLIO BENECiao Lorenzo
Si chiama corto circuito. Senza trasposizioni semantiche. Ovvero: una connessione a bassa resistenza fra due elementi di un circuito elettrico. È quanto accaduto nell’intera Milano morattiana.
La bassa resistenza è quella della politica. Un ameba informe dalla testa berlusconiana, dal corpo craxiano e dal ventre fascista.
I due elementi, la ragione e la degenerazione. Il circuito la democrazia.
Corto circuito. Costo: 20 mila euro. Circa. Tanto, infatti, è il valore del locale assegnato in Corso Buenos Ayres, previa presentazione di richiesta, all’associazione Forza Nuova. “Associazione culturale e sociale senza scopo di lucro”.
Associazione?
Culturale?
Lucro?
L’annebbiamento della memoria, la rottura degli argini di quel buon senso che, caduto Tambroni, ha consentito di dribblare azioni provocatorie, oltraggi alla memoria, sputi ciamurrotici sulle polaroid ingiallite della Resistenza.
Ma il politicante che tutto può e tutto deve, il notaio delle decisioni, il ratificatore delle regole senza morale, il lacchè delle carte bollate, imbelle esecutore mandatario di uno sciatto presente inzuppato nel nulla ideologico e valoriale, non distingue. Esegue. E lo fa con la nonchalance del finto ragionevole, come fosse il depositario di un qualche codice fatato e segreto, scrigno di segni e di simboli.
Le gare pubbliche il suo punto di vista, l’appalto la conditio sine qua non del respiro. Che sia tutto, se tutto deve essere. Buono o luceferino. Ma che sia documentato.
Nel corto circuito della ragione, si fa festa. Un corteo di cortigiani incartati di nero e testa rapata. Nella camera del delitto, quella tolta alla comunità (Medaglia d’Oro per la Resistenza e sede della grande insurrezione finale che capvolse il Ventennio nazifascista) ed assegnata, per soldi, per la giustizia della burocrazia, per l’imperium delle graduatorie, ad un manipolo di xenofobi da far accapponar la pelle del collo di zio Adolfo, i camerati meneghini si riuniranno, annunciano, “per una festa fino a notte fonda”.
Sì.
La notte della ragione. Una notte talmente buia da far rimbombare, di stella in stella, di lacrima di pioggia in lacrima di pioggia, di gocciolina di nebbia in gocciolina di nebbia, le parole auto celebrative del Camerata Marco Mantovani. Lui, che di Fn è il portavoce (si son dati anche una struttura interna in barba a tutte le regole, ma quelle buone), tiene ad ammantarsi di verginità innocente. Già. Perché lui non è un autonomo, uno studente sfigato, un ricercatore, un cassintegrato, un disoccupato con figli sul groppone, una babysitter in nero, una badante stesa in terra sotto gli occhi della gente.
Non sia mai detto.
Non c’è da scherzare.
“Noi non abbiamo l’abitudine di occupare illegalmente gli spazi”.
“Noi”.
Loro.
Infatti. Hanno sempre preferito sgombrarli quegli spazi. A forza di botte.