“Ci stanno uccidendo silenziosamente”. Parla Bolognetti

Foggia – MAURIZIO Bolognetti, Direzione Nazionale di Radicali Italiani, al telefono, è un fiume in piena: “Se presenti una denuncia per porre un freno al disastro ambientale e finisci per essere accusato di procurato allarme, significa che qualcosa non va come dovrebbe andare”. E, soprattutto, che in ballo ci sono una miriadi d’interessi. Sulla questione dell’inceneritore Fenice, di cui Stato Quotidiano si sta occupando, poi, ce ne sono di sfaccettati. Il Vulture melfese è ridotto ad un agglomerato di polveri sottili e metalli pesanti, gettati nell’aria, senza parsimonia, non solo dai 200 camini della Fiat, ma anche da quelli di Fenice. Impatto che diventa devastante se, in aggiunta, ci si aggiunge l’inquinamento della falda sottostante che finisce dritta dritta nell’Ofanto.

Non allusioni scortesi, ma dati di fatto, comprovati, sin dal 2006, da Arpa Basilicata, Crob di Rionero e dal Ministero della Salute (attraverso il rapporto Ispra 2009). L’esponente radicale (che sta per editare, per conto della Reality book, il testo “La peste italiana: il caso Lucania. Dossier sui veleni ambientali e politici che stanno uccidendo la Basilicata”) è uno dei più grandi conoscitori della situazione delle acque lucane. Dagli invasi del Pertusillo e di Camastra, fino, appunto, allo sversamento di sostanze tossiche nei fiumi. La questione di Fenice lo indigna con profondo disprezzo. Di quell’indignazione che non è aleatoria, ma si fonda sulle stime ed i dati. Quelli che ci sono e quelli che, per negligenza e per mistero cinico, non ci sono, scomparsi tra i fumi del tempo, inabissati nella fanghiglia tossica.

Partiamo dal marzo 2009, Bolognetti. Ovvero, da quando il caso Fenice deflagra come una bomba piena di chiodi…
.. e la Procura di Melfi, finalmente, apre un fascicolo. A proposito, quell’inchiesta non si sa a che punto sia giunta, quali sono le conclusioni. E’ finita a Potenza. Ma, anche lì, è nascosta. Tornando al marzo del 2009, alla pubblicazione dei primi dati Arpa. E’ curioso che si sia atteso tanto. Ormai è appurato che, sin da due anni prima, ovvero dal 2007, Vincenzo Sigillito, direttore dell’Arpa Basilicata, sapeva dell’inquinamento della falda. Sapeva lui, sapevano tutti nell’Ufficio. E non hanno pensato, guardi un po’ di avvertire il sindaco di Melfi che è la massima autorità in questi casi…

Scusi, vien da sé che sapeva anche la Regione Basilicata. E la Provincia di Potenza…
Gli unici a non sapere, si fidi, eravamo noi cittadini. Ci stavano uccidendo in silenzio, senza dirci nulla. Ha presente il gas metano, di cui non ti accorgi fintanto che le esalazioni non ti ammazzano? Ecco, esattamente in questo modo.

Sa di chi sono queste parole: “Già da marzo 2008 eravamo a conoscenza dei livelli preoccupanti di mercurio nella falda, ma non spettava al nostro ente lanciare l’allarme”?
Bruno Bove, coordinatore provinciale Arpab, pronunciate addirittura in televisione. Basterebbe questo, da solo, a chiudere la questione. Ma le aggiungo un altro elemento. Nel novembre di quello stesso anno, pur sapendo dell’azione deleteria di Fenice, come si deduce dalle affermazioni di uno dei maggiori responsabili di Arpa, il direttore Sigillito, ed una delegazione della società di gestione dell’inceneritore hanno tenuto un incontro pubblico. Durante quell’incontro, Sigillito, superiore di Bove disse che l’inceneritore di Melfi era, e cito, “una risorsa estremamente positiva”.

L'area della Fenice; in rosso, i pozzi di emungimento (googlemaps)

Una presa di posizione, insomma…
No, fa molto di più. In quell’occasione afferma che l’incontro serve per sancire un “rapporto di collaborazione” fra di loro. Insomma, un organo di controllo sa che il suo interlocutore sta uccidendo ciò che a lui spetterebbe monitorare e come risolve? Scendendo a patti.

Perché la politica ha lasciato fare?
Perché? Qui in Basilicata tutti sanno che Bove è uomo di fiducia dell’attuale Presidente del Consiglio Regionale, Vincenzo Folino, piddino di ferro. E poi, insieme alla Campania, la Basilicata è una delle realtà in cui la politica ha un’incidenza fortissima sulle scelte. Veicola tutto. Tutto passa per la politica. E’ tutto lottizzato, compreso l’Arpa, dove anche i cessi sono lottizzati.

Quindi, lei dice, ci sono delle coperture forti che non possono essere rimosse. E smascherare il pesce piccolo significherebbe la brutta figura, se non la il tracollo politico, del pesce grande…
Esatto. Il fatto è che la politica, e quando dico politica dico i partiti politici, devono entrare nell’ottica di abbandono delle lottizzazioni. Si fa un gran parlare delle grandi aziende pubbliche. Prenda la Rai. Ma anche gli Uffici, i presidi del territorio devono essere tolti dal controllo degli artigli della politica. Che si creino delle strutture nuove, che si possano arricchire con elementi forti e preparati che entrano con rigorose selezioni, curriculum alla mano.

Sa che vuol dire, si?
Certo, che bisognerebbe iniziare a depurare innanzitutto i vertici. Chi sceglie i controllori.

Converrà che, ad un certo punto, la politica s’arresta. Insomma, i controlli sanitari, le Asl, i medici? E’ attraverso il monitoraggio dell’incidenza dell’inceneritore che può essere fatto passare il messaggio. Ma le ultime stime, pure molto negative, riguardano solo i tumori e sono datate 2006. Fonte: Crob di Rionero. Non crede ci sia un ritardo?
Io ho una mia opinione personale. Alle storie del Crob ci credo fino ad un certo punto. Anche lì ci sono interessi specifici. Altrimenti perchè non sono stati più diffusi altri dati? Piuttosto sento parlare medici di base, medici di famiglia normalissimi, che vivono ogni giorno a contatto con la gente. Non mi serve il Crob o l’Asb per sapere quello che loro mi dicono in continuazione. Ovvero, che la gente si sta ammalando. La gente del Vulture sta morendo. Popolazioni intere contraggono tumori ma non solo. la contaminazione dei metalli pesanti porta ripercussioni a livello cardio vascolare, infiammazioni degli organi, allergie. Mi chiedo: ma la Fenice, l’Arpa, la Provincia, la Procura di Melfi e quella di Potenza, la politica, queste cose le sanno? E se le sanno, come le sanno, non gl’interessa nulla?

Ci sono comitati di cittadini molto attivi. Non crede che potrebbero, ad esempio, fare una sottoscrizione popolare per finanziare un’analisi delle acque dell’Ofanto, della terra, dell’aria? Basterebbe poco.
Potrebbe essere una strada percorribile. Ma, ripeto, spetta al pubblico monitorare, non solo ai cittadini.

C’è chi parla di contaminazione dei prodotti. L’acque dell’Ofanto irriga campi di tre regioni e diverse province di queste tre regioni. Ma nessuno vuole parlare…
Ma perché c’è una cappa asfissiante. Io non so che cosa si celi esattamente dietro il concetto di mafia. Quel che so, però, è che qui, in Basilicata, dal Vulture alla Val D’Agri, c’è. Trovare gente che si vuole esporre in prima persona, rischiando anche di mandare a monte i sacrifici di una vita, non è facile. Vigono le dinamiche di paese. C’è tanta ammuina (rumorosità, ndr) virtuale. Dietro le tastiere tutti si sentono forti ed urlano indignazione. Poi, tranne quei pochi veramente attivi, c’è ben poco.

Ma le associazioni di categoria? La Cia dovrebbe…
La Cia? Macché

Fenice guadagna sull’immondizia. In Basilicata fa guadagno anche sulla loro pelle…
Certo. Pensi, nel primo trimestre 2011 Edf ha fatturato 19 miliardi di euro. Parliamo di miliardi, una montagna di soldi. Nessuno, ad esempio, si è mai chiesto come mai, un giocattolo così costoso, sia stato dato in gestione ad una srl (Fenice srl, ndr) che, come capitale sociale, non ha che 50 mila euro.

Per rischiare meno?
No, per rischiare zero

Che cosa chiede Bolognetti?
Non lo chiede solo Bolognetti, ma la collettività: bisogna rendere pubbliche tutte le informazioni possibili. In maniera precisa e puntuale, affidando i controlli ad un organo di vera garanzia. Quelle sull’immondizia. E’ giusto o non è giusto che il cittadino sappia che fine faccia la sua raccolta differenziata? E’ giusto o non è giusto che il cittadino sappia dove e come venga smaltito il suo R.S.U e come i rifiuti speciali? E poi le informazioni ambientali. La falda è inquinata. perché? Di chi è la responsabilità? Chi non ha controllato? Tutto. Serve una battaglia di trasparenza.

I rifiuti di fenice, per anni, hanno bruciato più del consentito…
Si, è vero. E, dopo averlo fatto, hanno chiesto l’ampliamento della capacità di uno dei due forni a loro disposizione. Il risultato è che abbiamo un tasso di mercurio nelle acque 140 volte superiore rispetto al consentito.

Ma non è tardi per muoversi?
In verità le dico che sì, forse molto è stato compromesso irrimediabilmente: la salute dell’ambiente e delle persone di certo.

FOCUS – L’inchiesta di Stato

Fenice, un caso di (a)normale inquinamento

L'area della Fenice; in rosso, i pozzi di emungimento (googlemaps)

Lavello – LA Fenice è un inceneritore. Per la precisione, il più grande inceneritore europeo. E’ situato nella zona industriale di San Nicola di Melfi. Nel 1999, la Fiat l’ha messo in funzione (il ricatto è in marchionnese: o accettate l’inceneritore o addio posti di lavoro). A Sud, ovviamente, dopo aver tentato, invano, di insediarlo in Piemonte, nella zona di Biella. Le ceneri della Fenice-inceneritore, non sono quelle della Fenice-volatile. In questa zona bellissima e sciagurata, tuffata nel verde della Lucania settentrionale, con vista privilegiata su Daunia e Campania, le ceneri sono sinonimo di morte, di malattie. Le vite non rinascono, s’interrompono.

L’OFANTO – Fenice, che ha due forni, uno a griglia ed uno rotante, opera a cielo aperto. A sei chilometri da Lavello, il centro abitato più vicino, a tre dal fiume Ofanto. Corso d’acqua fra i più grandi dell’Italia meridionale, le cui acque sono utilizzate per l’irrigazione dei campi di tre regioni: Puglia, Basilicata e Campania. Inutile spiegare che, le ceneri, s’immettono nel ciclo dell’acqua depositandosi infine, senza colpo ferire, sulla superficie del fiume causando danni irreparabili. Di più. La Fenice è anche responsabile dell’inquinamento di una falda acquifera che, guarda caso, scorre sotterranea proprio in direzione dell’Ofanto.

I PROBLEMI – La segnalazione giunge a Stato anonima. E proviene dallo sterminato paesaggio del Basso Tavoliere, sponda cerignolana. Da queste parti, di campagna si vive. La coltivazione continua ad essere l’elemento preponderante dell’economia. E, in generale, dell’area compresa fra il centro divittoriano e la città di Foggia. L’inquinamento delle falde o, comunque, dell’oro blu utilizzato per l’irrigazione è vista come una tragedia. Nessuno lo può dire, nessuno può esporsi apertamente. In ballo, in questa storia, ci sono intere partite di prodotti ortofrutticoli. Quegli stessi prodotti che venivano immessi sui mercati internazionali, Germania in primis. E che, adesso, pare stiano iniziando ad essere rispediti al mittente. Mettere in giro la notizia, oltrepassare il filtro del silenzio, potrebbe voler significare la bancarotta. Qualcuno, come R.F., abbozza un timido “Può darsi”, onde poi rifiutare anche soltanto di approfondire. Dovesse essere confermata – come pare lo sia – la notizia della contaminazioni da metalli pesanti dei prodotti agricoli del Basso Tavoliere e della prima Murgia barese, la morte dell’economia autoctona sarebbe ineluttabile. Ecco perché, al momento, fra agricoltori e produttori vige il più assoluto riserbo. Pur montando la rabbia verso l’avvelenatore. Non va dimenticato inoltre che non si è lontani dal vulcano spento del Vulture. Ovvero, da quel terreno produttivo di acque in bottiglia che, al consumatore, vengono spacciate come sane.

A destra, Nicola Abbiuso (St)

LE CIFRE – La Fenice è un cancro. Nel solo anno 2009, stando agli ultimi dati emessi dal rapporto dell’ISPRA (si attendono a giorni i nuovi, quelli riferiti al 2010), ovvero l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, su 39.614 tonnellate trattate, ben 20.884 sono di rifiuti pericolosi. Di questi, non tutti sono di provenienza nazionale. Alcuni viaggiano dalle lande francesi. Il rapporto ISPRA afferma che i rifiuti pericolosi bruciati in Italia nella ambito dei R.U. sono 54 mila tonnellate di questi 34.482 sanitari ed ospedalieri e 19.907 di altra natura, questi ultimi – si evince – tutti bruciati a Fenice. Di più, alla Fenice, malgrado manchi del tutto ogni sorta di autorizzazione in questo senso, ed anzi, la stessa Provincia di Potenza, non più tardi della fine di gennaio di quest’anno abbia espressamente posto un freno per mancanza di autorizzazione, vengono smaltiti anche diversi quantitativi proprio di materiale sanitario. Lo dice lo stesso Ispra, ovvero il Ministero, nel rapporto succitato. Nel 2008, a Melfi ne sono state smaltite, certe, 978.

E LE CARTE? – Il tutto, quasi a coronamento, senza la certificazione necessaria. Nel 2000, infatti, la Regione Basilicata rilascia alla Fenice spa, all’epoca società di gestione dell’inceneritore (poi, con un’opera di perfetto maquillage, da pochissimi mesi passata alla Fenice srl – mentre la proprietà rimane nelle mani della società transalpina – con capitale sociale di appena 50 mila euro e con oltre 50 operai sul groppone), l’Autorizzazione Integrata Ambientale. Tuttavia è un provvedimento temporaneo, limitato nel tempo e ridotto a cinque anni. Nel frattempo, anno 2001, la ditta viene venduta all’Edf che gestisce al di là delle Alpi svariate decine di centrali nucleari ed è, in un qualche modo, l’interfaccia silenziosa della Edison.

AIA – Prima del rilascio della concessione definitiva dell’AIA, l’Ente lucano si riserva di monitorare la situazione. Ma i controlli sono ballerini, quando non del tutto inesistenti. Di volta in volta, nessuno si oppone allo strapotere del duopolio Edf-Fiat, malgrado le tante interrogazioni parlamentari, e malgrado inizi a scendere in campo l’attivismo della cittadinanza di Lavello. Che si inizia a chiedere chi e perché abbia dato inizio al sistema perverso per cui, la popolazione di 19 paesi dell’Alta Basilicata, ovvero del Vulture, sono tenuti, a partire dal 2000, a smaltire i rifiuti non mediante strumenti pubblici, ma per mezzo dell’inceneritore melfitano. Una contraddizione che monta e che cresce anno dopo anno, con punta nel 2009. E’ l’anno in cui i danni si moltiplicano. E, guarda caso, è lo stesso anno in cui il Comune di Melfi si vede costretto ad emanare un’ordinanza di non utilizzo dell’acqua dei pozzi. L’acqua è insicura e non ci sono le condizioni per operare in igiene. Passano due anni e, a gennaio 2011, così, è la Provincia di Potenza a mettere le cose in chiaro. Con un comunicato stampa secco ed inequivocabile, precisa che l’AIA – undici anni dopo! – “non [è] ancora rilasciata”. E che l’impianto è stato, appunto, autorizzato ad operare “con Determinazione Dirigenziale della Regione Basilicata n. 75F/2000/D/498 del 19.10.2000 (durata anni 5), successiva Determinazione Dirigenziale di questo Ufficio n. 2986 del 19.10.2005 di rinnovo (durata anni 5), ed in ultimo con Determinazione Dirigenziale di questo Ufficio n. 3065 del 14.10.2010”. In realtà, Fenice ha presentato richiesta soltanto nell’anno 2006, precisamente il 31 marzo, Richiesta che, ad oggi, è ancora in “corso di istruttoria”.

L’AUMENTO DI CAPIENZA – Ed una cosa particolarmente strana è che, a distanza esatta di un quinquennio, l’ultimo giorno di marzo di quest’anno, la Fenice, dopo aver accettato (a chiosa di un tavolo tecnico svoltosi a Potenza ed a cui hanno preso parte Comune di Melfi, Regione Basilicata, Provincia di Potenza, Arpab, Asp e Fenice ovviamente) di svolgere un’analisi di rischio, decide che è giunto il momento di dare un’accelerata. In quel momento, essendo i valori in calo, l’impresa lascia passare il messaggio dell’impatto zero sull’ambiente. Come dire: “Ad inquinare l’acqua non siamo stati noi”. E presenta addirittura una proposta di aumento della capienza di uno dei due forni (quello a griglia), chiedendo – la risposta deve darla la Regione – di passare dalle attuali 30 mila tonnellate annue a 39 mila. Più incenerimento significa più rifiuti, più rifiuti più energia, più energia più acqua. Si calcola infatti che, oltre ad inquinare, la coppia Fenice-Edf e Fiat, sprechi una quantità di liquido vitale pari a 12,5 milioni di metri cubi all’anno. E si tratta di acqua assolutamente potabile.

SALUTE – Non basta. Dai 200 camini della Fiat, più da quelli di Fenice vengono fuori quantità enormi di nano particelle (12 milioni di metri cubi all’ora di fumi sono immessi nell’atmosfera). Il che incide in maniera diretta ed inequivocabile sulla salute. Ma, anche in questo caso, i controlli non sono bastevoli. Uno degli animatori del Comitato per la Salute di Lavello, Nicola Abbiuso, ci dice che “le ultime stime risalgono al 2006”. E sono certamente parziali. Fanno in effetti i conti soltanto sull’aumento dei tumori (sono esplosi quelli alla prostata, al colon ed allo stomaco in sugli uomini; mammella, fegato e retto per le donne; ma, a parte qualche raro caso, quasi tutti gli organi sono colpiti). Al contrario, le nanoparticelle provocano allergie e serie ripercussioni sul sistema cardiocircolatorio, aumentando il rischio d’infarti. Ma l’Asp latita. Ed anche il Crob di Rionero in Vulture, uno dei maggiori centri in Italia in materia oncologica, in effetti fa poco. “Su cinque persone ricoverate al Crob – stima Abbiuso a Stato – tre sono di Lavello”. Tutto questo l’Arpab lo sa e, per anni, lo nasconde. O, per lo meno, fa finta che il problema non sussista. Tanto che, interpellato dalla stampa e sollecitato dai comitati pubblici, l’ex Direttore dell’Ufficio per l’ambiente della Basilicata, Vincenzo Sigillito, è costretto ad ammettere l’evidenza. Ovvero sia del fatto che l’Arpab era a conoscenza, già nel 2007, del problema dell’inquinamento delle falde ofantine. Quel che, al contrario, appare strano, è che, invece, lo stesso Sigillito, il cui atteggiamento è sempre stato alquanto ciondolante rispetto alla questione, afferma che l’Ufficio non dispone dei dati sul monitoraggio dell’area Fenice nel quinquennio 2002-2006.

I METALLI PESANTI – Nel corso del tempo, ad aumentare – e a preoccupare – è soprattutto la presenza di metalli pesanti, inquinanti per le acque, dannosi per la salute. Cromo, nichel e mercurio sono costanti rilevate nelle acque dei nove pozzi di emungimento collocati alle spalle dell’impianto. A seconda della rilevazione, i loro valori mutano. L’ultimo rilevamento, risalente ad un paio di mesi fa, ha visto un netto abbassamento dei valori. Tuttavia questo è dovuto alla realizzazione della cosiddetta barriera idrica. Ovvero di una serie di pozzi che, nei fatti, depurano l’acqua alterando la veridicità dei valori del campione rilevato.

Le apparenze – e solo quelle – sono salve.

p.ferrante@statoquotidiano.it
Link: Stato Quotidiano

Maurizio Crozza 3 – Ballarò, 8 febbraio 2011

La classe operaia va all’inferno

Alla fine della fiera, chiuse le urne e chiusi i seggi, è andato tutto esattamente come ci si attendeva alla vigilia. O quasi. I favorevoli al diktat per Mirafiori hanno prevalso. Di poco, ma tant’è. 54% contro 46%.

Tutta la gerarchia feudale della Fiat e del Paese, tutti gli assertori del patto di non belligeranza (contro il capitale) non faranno sconti. “Basterà anche soltanto un voto”. Sono arrivati quelli degli impiegati a salvare Marchionne. Già perché, nel cuore della fabbrica, sul vero campo di battaglia, le truppe cammellate dell’eroe dei due mondi erano state molto ingloriosamente sopraffatte dall’onda rossa di Fiom e Cobas.

C’è voluto l’intervento degli uffici; l’uscita dalla fabbrica, dal caldo, dal disagio, dall’unto, dal pericolo di malattie è stata la chiave del successo. Nichi Vendola ha detto: “Per Marchionne la vittoria più amara, per la Fiom la sconfitta più gratificante”. Poca cosa. L’apologia della bella sconfitta non era quella stessa che Nichita, per sé, aborriva? E’ una forma distorta di trainig autogeno made in fabbrica che non  fa bene a nessuno.

Non fa bene al mondo operaio che ha la necessità di ritrovare se stesso nel novero del conflitto sociale contro il capitale. Vecchiume ideologico? Niente affatto. Piuttosto, riciclo positivo e necessario quando, nel pattume, sono volontariamente stati gettati i diritti, la democrazia. Parcheggiati in quegli enormi spazi per i pullman al di fuori delle fabbriche, ammonticchiati sopra cumuli e cumuli di sangue versato sulle strade, sconfitte e vittorie. L’uomo forte della Fiat vuole riportare l’orologio della Storia indietro nel tempo, a quell’era in cui c’era chi poteva tutto e chi nulla. Vuole tornare al caporalato industriale, ripristinare il divieto di dissetarsi durante la fatica. Stirare le pieghe del tempo per scovarvi il pericoloso virus sindacale ed eliminarne le tracce. Marchionne ha comprato il favore di cinque sindacati su sette. E, comunque, non è stato capace di mettere a sedere l’orgoglio operaio rinascente.

Un orgoglio pesantemente scalfito da questa compravendita. Si è giocato al massacro interno, alla morra cinese delle ragioni, dove incredibilmente il più sciocco e credulone ha fagocitato il lottatore. Perché la responsabilità non è soltanto di Marchionne. Ma anche dei soloni interni. Dei sindacati, innanzitutto. Prendete Uil e Cisl. Ebbene, la loro messa a disposizione del padre padrone, il loro accettare chini le frustate benevole del capo sovverte la natura stessa del proposito sindacale, ribalta la logica della difesa del lavoro per sposare, bavosa, quella della convenienza del momento. E’ una sposa che accetta una cavalcata a vita piuttosto che un matrimonio fondato sull’amore e sul rispetto. Non sapendo che, il corpo scolpito e stentoreo dello stallone che la sottomette, prima o poi, appassirà, flaccido a tal punto che neppure il Viagra potrà farci nulla. A quel punto si troverà sola ed insoddisfatta, con un piede sull’uscio della camera da letto smunta ed uno su quello dell’appartamento. Sempre sotto schiaffo del ripudio.

Ma anche degli stessi interni. I risultati di Mirafiori ci presentano l’alba di un nuovo conflitto (cromatico e non solo) fra colletti bianchi e tute blu. Con i primi a decidere della sorte dei secondi. Forti del loro peso e della loro sostanziale garanzia, poco più di 400 impiegati hanno sovvertito il voto espresso da quasi 5000 operai. Questa è la democrazia, daccordo. Questo il sistema scelto ed accettato da tutti, Fiom compresa. Ma che le veci dell’ago della bilancia vengano impersonate da quanti, in fondo, risentiranno men di tutti delle conseguenze della marchionizzazione, è per lo meno bislacco. Eppure sì che, loro, dovrebbero essere la parte “migliore” dell’azienda. Quella più istruita. Quella, si diceva un tempo nel profondo Sud, “studiata”. sarebbe bastato, forse, che l’avessero letto quella sottospecie di accordo sottoposto al laser del voto. Sarebbe bastato non dar retta agli echi di chi diceva: “O con il sì oppure andiamo via”.

Perché la delocalizzazione, gli “studiati” dovrebbero saperlo, è più che avviata. E non solo verso il freddo polacco o il belvedere rivierasco croato. Marchino Marchionne, tanto forte del paese di Pulcinella quanto prono in quello dello Zio Sam, ha iniziato a portar via, destinazione Detroit, le menti più brillanti dell’azienda italiana. Sta facendo letteralmente a pezzi la progettazione, stracciando come carta da culo la componentistica Fiat, (s)vendendo – per niente sotto banco per chi sotto il banco ci guarda – piani come quello delle macchine elettroniche ed imbarcandosi, di contro, i Suv.

Domanda: in un paese in cui il mercato delle auto è ai minimi storici, in crollo verticale (17% nel 2010 rispetto all’anno precedente e – 19% soltanto nel mese scorso), mancano piani d’investimento ed il prezzo d’acquisto delle famiglie scema mese dopo mese, chi potrà mai permettersi l’acquisto di un Suv? E, conseguentemente, a chi giova il nuovo piano di marchionne? Di certo, non agli stabilimenti italiani. Di certo, non a Mirafiori. Di certo, non agli impiegatucci modesti. Forse a qualche sindacalista corrotto e venduto.

Quando il lavoro non c’è chi balla? Seminario SeL sabato 15 alle 17

 

Beppe nel pieno di una manifestazione della Cgil

“SONO tempi duri per il mondo del lavoro. Nel grande mare dell’occupazione nuota un esercito di piranha pronto a mordere ed a determinare paurose fughe indietro dei natanti. I piranha sono i Marchionne, i natanti i lavoratori”. Parlando con Beppe Di Brisco, lui, compagno, amico, lottatore, rende così, con il massimo dell’efficacia, lo spirito dell’iniziativa messa in piedi, per sabato prossimo (15 gennaio, ore 17 nella sede di Via Brindisi 43) dal circolo foggiano “Rosa Luxemburg” di Sinistra ecologia e Libertà. Titolo: “Come sopravvivere alla riforma del lavoro”. Rientrando nella metafora testè proposta: come scampare all’assalto dei piranha senza che i piranha vengano neppure a saperlo. O, meglio ancora, come renderli inoffensivi.

“Dobbiamo entrare nell’ottica che il lavoro è l’istanza fondamentale che muove le risorse umane, organizza le società, determina spesso i rapporti sociali”, aggiunge Di Brisco. “Ed invece, oggi, ce lo vogliono far apparire come una brutta emergenza”. Per giunta neppure tanto urgente, stando alle cifre occupazionali. In Italia, si è toccato nel 2010 il picco della disoccupazione giovanile, con il 28.9 dei ragazzi a spasso. Dato che, trasposto sul territorio assume tinte a dir poco disastrose. La capitanata, infatti, si colloca ancora una volta fra gli ultimissimi posti nella classifica occupazionale, con un tasso che sfonda il 40%.

Di Brisco, operaio e laureato non fa mistero della sua preoccupazione in tal senso: “La provincia di Foggia continua a non riuscire a produrre progetti tali da impiegare le risorse vive del territorio. I cervelli, le intelligenze fuggono altrove, alla ricerca, spesso, di qualsiasi occupazione. Finisce così che laureati con il massimo dei voti si limitino a fare i camerieri stagionali”.

Iniziativa del “Luxemburg” cadrà inoltre all’indomani del referendum che deciderà il futuro dei lavoratori di Mirafiori. Un voto che sta creando più scontri che incontri, più contrapposizioni che confronti, più problemi che risoluzioni. Che sta incidento in particolar modo nel ventre molle delle relazioni tra sindacati, e, ancor più, delle composizioni interne della Cgil (la Fiom voterà no al piano Marchionne, il resto del sindacato di Susanna Camusso, al contrario, voterà si). Sarà interessante, perciò, ascoltare la posizione della Fiom. Posizione che verrà portata a Foggia da Donato Stefanelli, segretario regionale delle tute blu della Cgil. “Invitare Stefanelli – dichiara Di Brisco – è una nostra chiara scelta di campo. Tra Marchionne e gli operai, noi siamo con questi ultimi e non con il modo del patronato”. Da SeL, insomma, tornano parole di sinistra.

All’incontro prenderanno parte anche Marco Barbieri (docente di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Foggia) e Raffaele Falcone (Rete della Conoscenza Puglia)