Il giornalismo precario che ti stringe una corda in gola

Pierpaolo Faggiano ha dato sfogo a quella vocina insistente che culla e mette in dubbio le esistenze precarie. A 41 anni, un lavoro precario a La Gazzetta del Mezzogiorno, nessuno intorno ad ascoltare la sua vera voce, non quella diffusa a mezzo stampa. Quella che domandava aiuto. Chi lo ha conosciuto, Pierpaolo Faggiano, dice che non avrebbe mai messo in circolo il suo dolore. Uomo d’altra morale nell’Italia delle piazze virtuali e dei flashmob. La sua indignazione la dimostrava con la tenacia e quel sangue che ribolliva di fronte ad una pista da approfondire.

Chi fa questo mestiere lo sa bene. Spesso da queste, dalle piste, dipendono gli umori, le paure, le possibilità. E’ la regola dello Stato precarizzato che ha assorbito anche il giornalismo. C’è da stare al passo con i tempi, battere la concorrenza di internet, dei blog che sbucano ogni giorno dal nulla, delle notizie facebook e dell’informazione h24. L’unica maniera per farlo è ingolosire il lettore. Legarlo indissolubilmente a quell’inchiostro impresso su carta e sottomesso al dazio dell’euro giornaliero. La fine delle piste originali significa la fuoriuscita dal giro.

Nel giornalismo semini sangue e raccogli sempre troppe spine. Un amico di Pierpaolo, attraverso un blog, ricorda delle promesse fatte ad entrambi, delle speranze alimentate e mai mantenute, delle assicurazioni e delle garanzie che mai e poi mai si traducevano in fatti. Tanto sudore ed in cambio la paura costante di poter essere scaricato, da un giorno all’altro, senza un briciolo di ammortizzatore. Perché anche nel mondo poco conosciuto del giornalismo esiste il precariato. Ed è addirittura più ingordo e mefistofelico degli altri. Rode e corrode le esistenze, mangia la privacy, espone ai problemi di tutti. Trasforma il cronista, l’inchiestista, l’opinionista in una macchina da notizie, meglio se rumorose e pruriginose. Soprattutto, non si fa scrupoli a sedurlo ed abbandonarlo, nell’indifferenza generale.

Il giornalista porta soldi agli editori (che, in taluni casi, sono anche direttori). Gli editori banchettano sul corpo del giornalista. Spesso, in compagnia di affaristi, faccendieri, politici e poteri forti da cui la stragrande maggioranza di loro dipendono. Chi non si adegua, chi domanda spiegazioni, chi invoca chiarezza è fuori, senza possibilità di redenzione. E’ fuori se chiede i soldi, è fuori, addirittura additato come dissidente e turbativa interna, quando domanda il riconoscimento per 12-13 ore di lavoro, occhi puntati su uno schermo ed orecchio al telefono peggio che in un call center. Le redazioni, anche quelle più coese, sono covi di conflitti e nicchie di diritti violati. Si è coartati a subire in silenzio la cacciata di un collega troppo sveglio, con l’obbligo stracciato di non parlarne più. Al bando la solidarietà, non ce la si può permettere. Molti campioni di democrazia, molti sostenitori della verità ad ogni costo, al loro interno sono cancerogeni coacervi di diritti negati.

La corda che si è chiusa attorno al collo di Pierpaolo, la lettera in cui ammetteva i problemi lavorativi insieme con non meglio specificate difficoltà personali, hanno stretto in gola tutta questa galassia di dolore. Ridotto ad un gozzo doloroso e lancinante le incognite, i dubbi, i dilemmi di un’esistenza trascorsa nella speranza di un contratto, il riscatto di abbandonare la casa materna e spiccare un volo diverso, con sogni propri, uno stipendio normale se non decente e tempi più umani.

Ora, la processione post mortem di condoglianze sentite e cordogli partecipi, gli abbracci affettuosi alla famiglia ed i ricordi in comune con Pierpaolo (chissà quanto veri, ma chi può smentirlo ormai?), cattureranno l’attenzione in un vortice di tempo che va dalle 24 alle 48 ore.
I vibranti comunicati della politica che “la cosa non si dovrà più ripetere”, le accuse al corpo evanescente del precariato che loro stessi hanno messo a punto, congeniato in concorso di colpa, destre e sinistre, per soggiogare i bovari ignoranti, tenere a bada i giovani brillanti. Prima di emettere nuovi bandi già assegnati ad esperienze orientaleggianti dal sapore fallimentare promosse dal figlio di Tizio o dal nipote di Sempronio, a scapito delle invocazioni d’aiuto delle testate locali indipendenti ed innovative, baluardi della democrazia locale e vere portatrici sane di novità.
E poi, le sfilate dei “colleghi”, dei kapò del giornalettismo che non potranno seguire tutta la funzione per colpa di precedenti impegni presi. Ad un bar.

Infine, allontanamento, dimenticatoio, oblio. Lo spettacolo deve continuare. A piangere Pierpaolo Faggiano, 41 anni, uomo, sarà soltanto la famiglia.

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2 commentiLascia un commento

  1. Dieci anni più piccolo di me. Mi fa pensare alla mia vita. Mi porta indietro coi ricordi, mi fa ricordare che i capiredattori e i direttori di GdM hanno sempre le mani legate: quando non possono assumerti anche se vorrebbero tanto, perchè lo meriti. Quando devono assumere un altro, che non lo merita affatto, ma è figlio di uno a cui non possono dire di no.
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