Noi non ci si arrende mai

LEGGI IL PEZZO SU: http://www.statoquotidiano.it/20/01/2011/contro-la-criminalita-organizzata-legalita-libera-tutti/40664/

Nella tana del CECATO

Interno locale boss Mastrangelo 
 

Cerignola – “ABBIAMO sottratto la terra al giogo delle mafie; e, alle mafie (proprio mentre lo scorso 26 settembre 2010 i carabinieri del reparto operativo di Foggia, con i Ros di Bari e i militari della Stazione dei Cc di Monte Sant’Angelo catturavano il super latitante Franco Li Bergolis Arresto Li Bergolis), abbiamo sottratto il suo ruolo di deus ex machina, al sua pretesa di comandare, nel bene e nel male, le sorti dei lavoratori e del lavoro. Questo significa lottare tenacemente, credendo che, insieme, con gli sforzi di ciascuno, si possa migliorare questa terra. L’esempio di località Scarafone a Cerignola, quella che un tempo era considerata la peggiore delle cittadine della provincia, deve illuminare e far sperare che un’altra Capitanata è possibile”. Mimmo Di Gioia, referente provinciale della rete di associazioni contro le mafie, Libera, quando s’infiamma, è un fiume in piena. Mimmo ha anni di esperienza politica alle spalle, un curriculum di lotta all’illegalità diffusa grande così. Già ne ha passate più d’una, di tribolazione. Telefono intercettato, minacce. Una lunga militanza prima in Democrazia Proletaria, poi nei Verdi, infine l’approccio a Sinistra ecologia e Libertà. È con lui che ci siamo recati in contrada Scarafone, sabato 18, in occasione della vendemmia in quei terreni (quattro ettari e mezzo di viti) sottratti a Giuseppe Mastrangelo, alias “il cecato” uno dei boss più influenti della criminalità organizzata cerignolana.

PROFILO DI UN BOSS – LE TERRE CONFISCATE ALLA MAFIA – Coinvolto nell’Operazione Cartagine per omicidio, droga, associazione mafiosa ed estorsione, Mastrangelo è stato condannato a tre ergastoli. “Può tornare a nascere altre due volte”, ci scherza su Pietro Fragrasso, cooperativa Pietra di scarto. Una di quella che si occupa della gestione dei terreni. Oltre a quei terreni, una casa. Due piani, apparentemente anonima. Un cancello in ferro a chiuderne l’ingresso. Viti ed ulivi del basso Tavoliere a far da recinzione, da protezione naturale. Ora, reticolati e chiusure servono meno. Il terreno, dal 2008, è della comunità. Precisamente, appartiene al Comune di Cerignola. Prima la giunta guidata Matteo Valentino, ora quella di Antonio Giannatempo, hanno fatto di tutto per recuperare alla città questo pezzo usurpato. Ma nessuno, per lo meno a livello apparente, ci mette cappelli su. Attorno all’ingresso della dimora, da due anni, ci sono i sigilli della Polizia Municipale. Entrarvi è realmente difficile. Oltre che impedito. A terra, mucchi di vetri rotti. Verosimilmente, si tratta di quelli delle finestre. L’interno è una caterva di detriti, sanitari rotti, roba precipitosamente accumulata ed altrettanto precipitosamente abbandonata. Ma distrutta con certosina precisione. E metodica barbarie. Già, perché la sottrazione dei beni materiali, nuoce gravemente allo stato di salute delle mafie. Meno potenti e più fragili, senza cassa. Perciò, nello sfogo del momento, gli ex inquilini si son dati allo sfregio. Rompere per rendere inservibile, lasciando in piedi unicamente l’inutile. All’interno, comunque, ci sono ben visibili ancora i segni di una lontana frequentazione. Non è stato facile il lavoro degli esecutori giudiziari. Non è facile, ancora a distanza di due anni, capire effettivamente come recuperare uno spazio ben diviso ma malmesso.

GLI INTERNI: IMMAGINE DI GESU’ CRISTE E MADONNINE DEVOTE – A piano terra, quello che fu il soggiorno porta le ferite dell’ira. Restano ancora gli arredi. Un camino con qualche disegno fuliginoso, archi in mattoni a vista color del cotto, un divano ormai di sbieco. Mentre il pavimento è un ricettacolo, anche qui, di carte da gioco lacere, vecchi addobbi natalizi, ciarpame ammassato, gettato alla rinfusa in attimi che lasciano presupporre scompiglio. Accanto, superato un arco, un ambiente piccolo, verosimilmente la cucina. Non resta nulla di quello che fu l’arredamento originario. Soltanto, mestamente, un vassoio appoggiato su di un piano. Sopra, una bottiglia ancora aperta di menta e due bicchieri. Per un fotografo, una golosità, questo quadretto. Appena dietro, infatti, si apre una finestra, dalla quale è possibile vedere i grandi alberi dell’esterno. Tanta esplosione di vita all’esterno, tanta mortificazione all’interno.

Alle spalle del divano, nel soggiorno, una scalinata in ferro battuto porta al piano superiore. Siamo in quella che fu la zona notte della casa di campagna di Mastrangelo. Ogni passo sulla rampa è un groppo in gola. I muri, bianchissimi, scarni e senza vita. Non ci sono segni di quadri appesi. Le ragnatele nascondono gli angoli del soffitto. Terminata la rampa, un piccolo ambiente su cui si aprono tre porte. Una prima, esattamente di fronte, con un bagno tutto distrutto. Lapidario il commento di Di Gioia: “Nemmeno questo hanno risparmiato. Un classico”. In effetti la distruzione, a seguito di una confisca può derivare da due fattori. In primis, dalla necessità di riportare alla luce e disseppellire da nascondigli ad hoc, materiale che non si vuole caschi nelle mani degli inquirenti. In secondo luogo, per arrecare un ulteriore danni a tutti quanti suppliranno alla mancanza del vecchio proprietario.

NEL FUTURO: “PER NON ESSERE RICORDATI COME CITTADINI DELLA PEGGIORE DELLE PROVINCE POSSIBILI” – Subito avanti a noi, unici ad essere entrati nella casa, la troupe di Libera.it, televisione on line dell’associazione. C’è silenzio e nessuno si avventura sin lì. Oltre al bagno, water rotto a martellate e bidet rovesciato, due stanze. Una prima, ad ambiente quadrato. Un materasso in terra, due finestre ad inondarla di luce, un misero alberello di Natale che più che dare idea della festa, mette tristezza. E rabbia. Ancora una volta, la scena è la stessa. Le braccia della criminalità calate a frammentare l’ordine in una sommatoria di piccoli caos. Anche qui, carte da gioco, una bottiglia di birra vuota in un angolo, addobbi e suppellettili varie. Anche qui, nessun arredo vacuo. Anche qui, una lontana eco di vita. Ma solo lontana. La seconda stanza, invece, doveva essere la principale. Al centro, in risalto, un lettone matrimoniale che non c’è più ha lasciato il posto al nulla. La porta, ostruita nell’aprirsi da un cassettone. Tutti i tiretti, vuoti, sono aperti. Nel primo, un santino di Gesù Cristo a metà. Un’immagine sbiadita. L’idea, quella che concorre a creare qualche brivido alla schiena, è quella del covo dei grandissimi ricercati della criminalità organizzata, falsi devoti seppelliti di santini ed immagini di santi, Madonne e Figli di Dio immolato. Chissà, qualcuno, si chiede, uscendo dalla casa, se sarà misericordioso anche con i pluriergastolani.

pubblicato su http://www.statoquotidiano.it/03/10/2010/cerano-una-volta-i-boss/35287/

Cerignola, uva Libera tutti

Ci sono giorni in cui il sole sembra che baci più forte gli uomini, le piante e gli animali; che inondi di luce la terra e le case e tutto il creato, per dare il placet di quel che gli si svolge sotto i raggi. Benedetti caldi di Capitanata, quando ti concedono il diritto di un posto di lavoro scevro dallo sfruttamento. Maledetti, invece, quando le schiene chine sottendono schiavitù; quando il sudore è la dichiarazione di resa al caporalato. Benedetto caldo di Cerignola. Campagna che fu la campagna della riscossa di un’intera classe di braccianti sotto la bandiera umile di Peppino Di Vittorio. In quelle terre, secche ed aride, oggi è nata una delle esperienze più interessanti della Capitanata. Il marchio è quello della rete di Associazioni contro le mafie, Libera. Cui si sono aggiunti quelli degli Enti Locali (Comune di Cerignola e Regione Puglia), della Cia, dei confederali (Cisl e Uil, oltre ad una Cgil che ritorna, in una terra storicamente “sua”, a riannodare il filo dei diritti). “Un grappolo di diritti” è l’iniziativa che ha preso corpo in località Scarafone sin dallo scorso 10 settembre, e che, in un sabato settembrino di fine estate – sabato che non è come gli altri, perché nell’aria rimbomba, sordo, il dolore per il rinvenimento dei cadaveri dei due africani alla stazione di Foggia – si è aperta all’esterno per farsi conoscere. Si vendemmia da quel giorno. Le viti abbondano di frutti. Fino a strabordare come una verde cascata appesa. I terreni sono stati confiscati alla mafia nel 2008: sei ettari in tutto, quattro e mezzo coltivati a vite. Per il resto un groviglio di stradine, qualche ulivo, sparuti fichi. Un casolare abbandonato, distrutto dagli ultimi inquilini, sentitisi defraudati dalla confisca. L’ex proprietario del piccolo feudo, il boss Giuseppe Mastrangelo, detto “il cecato”, sta scontando in carcere tre ergastoli per omicidio, droga, associazione mafiosa ed estorsione. In prigione, ce l’ha spedito Gianrico Carofiglio, che, ancor prima di donarsi all’editoria, mieteva vittime alla criminalità organizzata come pm antimafia di Bari.

Su queste terre liberate, restituite alla storia dalla giustizia dell’uomo, rese finalmente degne della loro bellezza, si è celebrata, alla presenza di stampa ed istituzioni, oltre che delle forze dell’ordine, la fine di un lungo incubo. Meglio. Si è consumato l’atto finale della restituzione al pubblico di quanto era giusto. Perché, ha esultato Pietro Fragasso, mente pensante della Cooperativa sociale “Pietra di scarto”, “Cerignola non dorme”; no, Cerignola di dormire non può permettersi. È occorsa una barca di tempo ed altrettanta fatica per districarsi della nomea di città dell’illegalità. Per uscire dal “cono d’ombra” paventato dal referente provinciale di Libera, Mimmo Di Gioia. Per scuotersi del torpore in cui i vari Giuseppe Mastrangelo l’avevano costretta. Cerignola, quindi, non più città di paura e pistole.

L’immagine, oggi, è diversa, quasi rassicurante. Sui terreni che furono bunker, chiusi al mondo ed all’occhio del cittadino, ostruiti e vietati dalla legge del più forte, oggi lavorano e riposano Cooperative di braccianti. In sei, questa mattina, riempivano le gerle. Mancava un elemento, due braccia in meno sottratte al lavoro, ma aggiunte alla causa della legalità. Uno di loro era a Castel Volturno, altra zona tristemente nota per gli eventi criminosi, per consegnare al Centro di Accoglienza “Fernandes” i prodotti dei vigneti della Capitanata. Gli stessi che hanno fanno capolino alle feste nazionali della Cgil e del partito Democratico. Gli stessi che, oggi, hanno viaggiato sino a L’Aquila. 19 mila cassette prodotte e smistate. E siamo ancora al dato parziale. Perché manca ancora tanto per concludere il lavoro. Ma non ci sono lacrime di terrore in contrada Scarafone. Si fatica sorridendo, qualche battuta in foggiano, qualche risposta in arabo. Dei sette, uno solo è italiano. Dei restanti, due sono rumeni (marito e moglie), quattro tunisini. “Lavoriamo tanto, ma ci mettono a posto – tirano un sospiro di sollievo”. Già, perché sinora l’Italia era stata una grande promessa mai mantenuta: “Solo trattati male, sfruttati, niente soldi”, dicono in coro. Poi, chi può, si ferma all’ombra a fumare una sigaretta. Oggi è un giorno di festa.

pubblicato su http://www.statoquotidiano.it/19/09/2010/libera/34548/