Dov’è il Foggia?!?

IL MIGLIORE: Santarelli

IL PEGGIORE: Torta

 

 

 

 

 

 

 

Santarelli: 5.5 Nel naufragio generale è l’unico che prova a disporre la vela rossonera lasciando il vento in poppa. Incolpevole sui tre gol dei Molossi.

Caccetta. 4 Un rebus di quelli da fare invidia alla Settimana Enigmistica. Magari scopriremo, un giorno, che gli autori, con lui, hanno sbagliato fin dall’inizio. Non corre, non dribbla, non attacca, non difende. Insomma, non fa un bel niente. Butta la palla avanti alla viva il parroco. Impalpabile

Tomi 5. Prova a spingere ma il motore è ingolfato peggio di una Sigma degli anni Settanta. Due dei tre gol della Nocerina vengon fuori dalla sua fascia di competenza e non basta certo il grossettino che – indirettamente – propizia il gol della bandiera del Foggia. Come il compagno di sgroppate, non fa nulla per meritarsi la pagnotta. Rimandato

Salomon: 4.5. Un voto in più per il gol. È tutto dire. Perde palloni in quantità industriale. Come i terzini, non fa filtro e non avvia le azioni. In poche parole, galleggia nel pantano. Chi l’ha visto

Torta 4. Il Natale si avvicina ed il presepe necessita di un dormiente? Eccolo qua. La leggenda narra che sia giunto a Foggia da Torino, niente popodimeno che dal settore juventino. Nella capanna zemaniana, in effetti, scocchia e non poco. Usatelo anche come bue. Tanto è lo stesso

Rigione 4.5. Tutti lo saltano, anche le lumache che pullulano nel campo zuppo di Nocera Inferiore. Lento e macchinoso. Ha dimenticato i fondamentali e marca stando dietro all’avversario per tutta la partita. Gli consigliamo un giro a Collegno: smemorato

Agodirin: 5.5. Per lo meno ci prova. Corre per un tempo (ovviamente il secondo) e mette anche dentro un pallone invitante su cui Insigne gigioneggia a 2 millimetri dalla linea di porta. Meno lucido di altre occasioni, si abbandona a corse inutili. Furia cieca

Kone: 4. Non si è mai visto uno più lento di lui. Fa spavento. Ci mette una vita ad alzare la gamba ed effettuare un passaggio. Speriamo di non trovarcelo medico altrimenti la bara non ce la leva nessuno. Latte alle ginocchia

Sau: 5. Il folletto non vuole beccare la pioggia e va a stiparsi sotto al fungo. Non si vede, non si sente, non si tocca. Un passaggio a vuoto ci può stare. Che non diventi l’abitudine. Giustificato con libretto

Burrai: 5. Tra lui e Salomon è il suq dell’inconsistenza. Sono, in due, il ventre molle della manovra. Non ne prendono una. Strano. Ma vero

Insigne: 5. No, bimbo cattivo, non si fa. Va bene la giornata storta ma mettere dentro a un centimetro dalla porta non è questione di fortuna, né di forma fisica. È cessaggine. Goffo

Zemàn (o Zemanne?) sotto ar cuppolone…

Zemàn o Zemanne? È uguale. Che si pronunci alla foggiana o alla romanesca maniera, Mister Simpatia resta sempre la personificazione di un tripudio emozionale.

Eccettuato questo inizio di stagione inatteso ma entusiasmante, l’Atletico Roma non ha mai avuto dalla sua un’orda di fan. Non facile, sia chiaro, in un contesto sportivo monopolizzato non da una, ma da due società calcistiche. C’è ‘a Roma e c’è ‘a Lazio. Eppure il Flaminio, in questo pazzo pazzo sabato di fine ottobre, sembrava, in confronto al solito grigiore, il Maracanà. Per una settimana intera i quotidiani sportivi nazionali non hanno avuto occhi, Lega Pro parlando, che per la rimpatriata di Zdenek sotto ‘ar cuppolone. Una temperie di ricordi scatenata a bella posta per scomodare la vigilia di quella che, a tutto merito, è forse la sfida più entusiasmante del girone B ma che, senza il suo simbolo dell’Est, non sarebbe altro che una noiosa partita di scarso interesse.

È finita 3 a 3. Ed è sempre più chiaro che non c’è nulla da sbigottirsi o da strabuzzare gli occhi. Né di fronte ad una difesa altissima ma colabrodo. Né tantomeno ammirando – direbbe Lotito – le res gestae delle punte rossonere. Una domenica il folletto Sau; un’altra lo scugnizzo Insigne; un’altra ancora l’altalenante Laribi. Stavolta, nella scorpacciata del sabato, è stata la volta di quella scheggia impronunciabile di nome Agodirin.

È finita 3 a 3 e forse non c’è di che meravigliarsi se gli arbitri godono a strombettare allegramente contro i Satanelli, quasi come il Foggia fosse un bersaglio e falli e cartellini le freccette. Sua Granitudine Casino Casillo fa sapere che, dovesse andare avanti così, ritirerà la squadra. Boutade capitoline. Dicesse sul serio, scoppierebbe la Rivoluzione (d’ottobre, in questo caso) dauna.

È finita 3 a 3 e, sull’affollamento dei tabellini, mancavano soltanto i nomi degli spettatori. Che erano tutti per Zemanne, a buttare qualche sguardo agli spalti. Dei circa 3500 presenti, 2500 montavano in petto cuore rossonero, altre svariate centinaia erano curiosi e vip a sostegno dell’ex coach della Maggica. Ma Zdenek fa il modesto e, ai microfoni di La7, li ridimensiona con una fase sbruffona come un motteggiare di Rocky Balboa: “Nostalgici di me? No, solo amanti del bel calcio. Ovvero, del suo. Gigi Di Biagio e Fabio Fratena, giocatori. Bobo Craxi, parlamentare. L’identikit dello zemaniano è vasto e vario come il mondo.

Ma, più di tutti, non poteva mancare Antonello Venditti. Che, al boemo – almeno così si racconta –, ne ha cantata una delle sue: “Mister, non ti riconosco più, mi hai tolto una punta a dieci minuti dalla fine (Laribi) per difenderti?”. Un sorriso, un abbraccio e via, muto ed impassibile a scrutare il prossimo impegno di campionato.

WELCOME TO THE HOME

Un’attesa lunga sedici anni

Via 1 a 2

Quella fra Barletta e Foggia non è mai una partita come tutte le altre. Nei miei ricordi di bambino, meno che decenne, mi viene alla mente un lontanissimo e sfumato 4 a 1, gli striscioni a bardare la città, gli sfottò nella via che, dell’allora città dell’alto barese, porta ancora il nome. Fu, per l’occasione, commutato in un ironico ed inoffensivo “Via 4 a 1”. Biancorosso e rossonero, i cori volgari come colonne sonore di ogni partita, messaggi lanciati a distanza, tifosi contro senza esagerazioni e degenerazioni perverse. Ce n’era uno infarcito di bestemmi e parolacce, che ancora è in voga nella curva scambiata del tifo foggiano.

No, quella tra Foggia e Barletta, o tra Barletta e Foggia, non è per nulla una partita come le altre. Per questo, per una volta, ed una sola, gioisce anche il sottoscritto alla presenza delle rappresentanze di entrambe le tifoserie. Già, perché è come fosse, in scala minore, L’ALTRO DERBY pugliese per antonomasia. C’è Bari – Lecce e c’è Foggia – Barletta, oggi più derby che mai per l’elevazione della città marinara a capoluogo. Seppure in comproprietà.

Il primo round l’ha vinto Zemanlandia 2. Ha vinto il gioco, ha vinto la fantasia, ha vinto la freschezza della gioventù. Al Puttilli hanno vinto i dribbling di Sau e Laribi, le goffe folate offensive di Caccetta, le magie folli e spensierate di Insigne. hanno vinto gli scugnizzi di don Zdenek; le piccole promesse delle grandi squadre messe a parchimetro allo Zaccheria. Dopo Barletta Foggia, dopo la predominanza di Sau su Margiotta, tutti abbiamo il diritto di credere alla possibilità di vedere la creatività al potere.

Hanno vinto gli spazi aperti lasciati dagli equilibri del momento, le ardite sortite del solitario, i fraseggiamenti stretti e veloci. Ha vinto anche la palla avanti e pedalare di Verga, novello RR7 (nel senso di Roberto Rambaudi 7) sulla fascia destra, ha stravinto il collo esterno di Insigne sulla botta dal dischetto – e mango tanto – dell’attempato zio Massimo. Stasera ci vediamo in città ancora una volta. Per brindare, tutti, in VIA 1 A 2

Foggia calcio patrimonio collettivo nazionale

UN fenomeno nazionale. Da Campo Tures a Vasto l’attenzione dei media nazionali rotea vorticosamente e senza sosta attorno alla nuova creatura della triade Casillo – Zeman – Pavone. Il giocattolo che hanno allestito i tre fa divertire, soffrire, maledire. Tanti gol. È il solito Foggia di Zeman, ma con molti più eccessi. Non si ricordano tanti gol neppure mettendo insieme tutte le prime quattro giornate dei campionati del Foggia. Dodici fatti ed altrettanti incassati: primo attacco del girone B della Lega Pro, ultima difesa.


“SE NON VINCE LA SQUADRA VINCONO I RICORDI” – Un attacco delle meraviglie, un centrocampo che segna e fa segnare, azioni scoppiettanti fatte di tocchi di prima, incursioni sulle fasce, raid come di bombardieri verso le reti avversarie. Con di fronte il nuovo Foggia del boemo, nessuna compagine si sente al sicuro. Da Cava all’ultima prestazione di vasto contro il Foligno, questa l’immagine che ne viene fuori. Di contro, una difesa colabrodo. Ma poco importa. Se non vince la squadra, vincono pur sempre i ricordi. Già, perché il Foggia di Zemanlandia è un patrimonio collettivo. Un po’ come il colosseo. O, qualcuno vorrebbe, la Resistenza. Non è più monopolio di una città e forse non lo è mai stato; non è più duopolio di una città e della Capitanata; non è più triopolio di una città, della sua provincia e dell’intera regione. Quel Foggia che sconfiggeva la Juve e la Fiorentina, faceva passare brutte ore a Milan ed Inter, che faceva tribolare la sua curva, non è più, ora più che mai, nel solo pantheon sportivo di qualche centinaia di migliaia di spettatori. È una ricchezza, un esempio emulativo, la dimostrazione che, talora, le evocazioni sono più forti del business, la prestazione più importante e soddisfacente del risultato finale.

Ma se i tifosi rischiano pericolosamente di vivere di ricordi, il Foggia di Zeman, la fondazione rivista e corretta della città del boemo, attira dall’esterno. A Campo Tures, ai piedi delle Alpi austiache, ad un tiro di schioppo dal confine di stato, a far visito allo storico ritiro fu Studio Sport, approfondimento sportivo di Mediaset. Seguito a ruota da giornalisti francesi e canadesi. Prima ancora, il ritorno da star di Mister Simpatia era stato festeggiato con enfasi da tutti i quotidiani sportivi. Il Foglio di Giuliano Ferrara, a firma di Beppe Di Corrado, rievocava con nostalgia il gesto storico delle caramelle porte prima di ogni incontro come panacea per scuotere dal torpore agonistico una piazza di primo piano, regina indiscussa degli anni Novanta. La Stampa, quotidiano torinese vicino a Confindustria, riprese l’idea del “sogno” risorto. E persino il manifesto, notoriamente distante dallo sport come un gabbiano dall’entroterra, dedicò un editoriale con attacco in prima a firma del regista Giuseppe Sansonna.

Ed oggi, dopo innumerevoli pezzi, giorni dopo giorni di vicinanza sportiva alla creatura che prendeva corpo e realizzava gol a carrellate sin dal pre-campionato, il 4 a 4 contro gli umbri del Foligno, non certo mostri del palleggio e del dribbling, ha attratto l’attenzione di Repubblica. Il quotidiano diretto da Ezio Mauro, sul suo canale web, Rebubblica tv, ha dato spazio, fra i suoi video, ai goal della partita di Vasto, esultando perché “Zemanlandia è tornata” e per “i goal a valanga” del sodalizio rossonero. In attesa delle vittorie basterà la notorietà? Zeman ha chiesto alla squadra lo spettacolo prima di tutto. E, finora, nessuna disillusione.

http://tv.repubblica.it/copertina/e-tornata-zemanlandia-ultimo-pareggio-4-4/53052?video

IL PEZZO è TRATTO DA http://www.statoquotidiano.it/13/09/2010/foggia-se-non-vince-la-squadra-vincono-i-ricordi/34217/

E SEGNALATO SU GOOGLE ALERT

Published in: on 14 settembre 2010 at 22.29  Lascia un commento  
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Sedici anni dopo il Foggia torna a Campo Tures…

Ai piedi dei ghiacciai dolomitici perenni, a pochi chilometri dal confine di stato che separa Italia ed Austria, l’atmosfera è quella dei bei tempi. Ora, più che mai, non più e non già andati. Perché, tanto per usare le parole del regista – zemanofilo incallito – Giuseppe Sansonna, i tifosi del Foggia hanno incominciato ad aspettare Zdenek Zeman sin dal giorno in cui, quindici anni fa, il boemo lasciò il Tavoliere, tanti ricordi, qualche rimpianto, ed una miriade di domeniche da Zaccheria sold out. La compagine rossonera, al lavoro nel fresco di Valdaora, ha ripercorso un’altra tappa della Zemanlandia che fu: Campo Tures. Nome suggestivo di ritiri estivi, richiami di serie A, del trio ricomposto Casillo – Zeman – Pavone. Mancano i nomi di grido, nel perfetto stile zemaniano. Mancano, nel campetto schiacciato tra le Alpi ed i boschi, sovrastato da amanti del parapendio ed immerso in olezzi bovini portati dalle intervallanze del vento, le chiassose boutade dei calciatori al telefonino, le resse dei tifosi locali a caccia di autografi e foto, i flash di curiosi e giornalisti. Ma nel giorno in cui i giovani rossoneri strapazzano i giovanissimi componenti della squadra dilettantistica locale dell’Ssv Taufers per cinque reti a zero, dalle tribune gli occhi sembrano essere tutti puntati verso la panchina e quella cariatide del calcio, colui che, primo fra tutti, nell’opinione generale, ha sfidato i poteri forti, scoperchiato il sistema corrotto del palazzo a scacchi bianco e nero, componente imprescindibile dell’urbanistica della tirannia moggiana. Zeman è tornato laddove tutti hanno continuato a vederlo per circa due decenni. Nell’immaginario collettivo dauno – e, a dire il vero, non solo – la panca del Foggia sta alla sua vita come una sedia in paglia sta ad una vecchia nonna dal passato contadino e dai ricordi sbiaditi della guerra e delle giovani Italiane. Tutti lo sanno. Alla stregua di come tutti avrebbero scommesso fiumi d’oro colato sul rinascere del primo vecchio amore. Le voci che risorgevano anno dopo anno, ancor più nei momenti di tribolazione per i tifosi rossoneri, erano panacea per lenire e depotenziare le patetiche promesse di Sensi e Coccimiglio, delle dichiarazioni entusiastiche di trainer sconosciuti ma sedicenti illustri che speravano, in fondo, di supplire Mister Simpatia nei cuori dei tifosi, inconsci che, alla fin fine, stavano semplicemente scaldandone il posto. Come lui, come il boemo dalle poche parole, nessuno è stato mai. Con la sola, proporzionatamente calcolata, eccezione di Pasquale Marino. Il calore di Campo Tures, laddove l’Alto Adige chiama sé stesso Sudtirol e parla quasi esclusivamente tedesco, è l’esplosione di gioia a lungo repressa di una tifoseria (parte emersa del sentimento della città intera) abituata a tramutare trasferte in esodi, a giocare in casa anche fuori dalle mura amiche. Anche in occasione di queste (tutto sommato) misere ed inconcludenti amichevoli estive, di supporters ce ne sono, di volta in volta, oltre un centinaio. Ovvio, con il traino immancabile di vezzi come di vizi, con il seguito di cori d’amore come di fumogeni in campo, di sfottò e di nuovi canti arrangiati sui pullmini. Birra (alcolica, cosa rara da queste parti dove, di domenica, nelle strutture sportive e nelle zone adiacenti se ne somministra solo di analcolica) e panini con i wurstel in luogo di lupini e caffè borghetti. E poi tutta una sommatoria antropologica di vecchi emigrati pugliesi unificati da un dialetto caduto in disuso rintanati sotto le tribune all’ombra come una lettera d’amore in una busta che attendeva soltanto di essere disseppellita dalle viscere del tempo e scartata con ansia. Veneti, trentini, lombardi, altoatesini. Tifosi lontani che esibiscono magliette d’antan con vecchi finanziatori e sponsor tecnici, alcuni con al collo sciarpette retrò dai roboanti proclami; chi a decantare che “Baiano e Signori erano n’ata cosa”, chi a suggerire a Peppino Pavone – che, nel dopopartita, gioca a pallone con i nipotini – acquisti di squadre locali per rintuzzare un organico in parte ancora carente di elementi. Il Foggia non è ancora la squadra che promette calcio e vittorie, i meccanismi hanno bisogno di essere oliati, gli schemi rodati, le strategie non sono state mandate giù come Zeman vorrebbe. L’allenatore guarda imperturbabile e studia. Ma il tempo a disposizione prima dell’inizio della regoular season della Lega Pro consente di andare abbastanza per il sottile. Vero è che sentire lo speaker recitare i nomi di Gomis – Candrina – Iozzia, non dà le stesse sensazioni dell’udire il boato sul trio Mancini – Codispoti – Grandini; e che Laribi, Kolawone Agodirin e Regini non valgono Rambaudi, Baiano e Signori. Ma nessuno, dagli spalti, ancora si lancia in dissertazioni sulla disposizione in campo di giocatori che, fino a qualche giorno fa, ignoravano l’esistenza l’un dell’altro. Quando tornerà a prender caramelle dalla tribuna, Zeman avrà la stessa accoglienza con cui era stato salutato sedici anni fa.