Il vecchio mulo che “sale” verso il mare


C’è un vecchio mulo di ferro che non si stanca di ascendere sulla Montagna dell’Arcangelo. Fa un lungo giro: parte da San Severo, tocca Sannicandro e dritto ancora su fino ad arrivare a Carpino ed Ischitella. Qui lo sguardo sul lago di Varano, la lingua di terra che spacca l’azzurro in due, dividendo specchio lacustre e quello marino. Infine in questo blu s’immerge, tuffandosi su Rodi, San Menaio, fino a Calenella. È il treno delle Ferrovie del Gargano. Un viaggio che, da solo, fa turismo. Due ore di paesaggi che tolgono il respiro, mostrando le bellezze di tutta la Capitanata come fossero merce. rara.


Non solo mare. Perché all’inizio è il giallo intenso a coccolare i bulbi oculari. Paglia come sole. Paglia al sole. Paglia e sole. Abbracciati, abbarbicati l’uno all’altro nella comunione di un riflesso di luce. Un riflesso che rimpalla ovunque, si schianta sulle balle ordinate, sulle masserie diroccate. San Severo è ancora lì, ma è l’odore dell’aria quello che non lascia scampo. Solo il finestrino segna il confine tra il viaggio fisico e quello delle emozioni. Con la terra che si colora di rosso e la montagna di un rosa sbiadito, s’inala il profumo dei fichi e dell’arsura.
E mentre ci s’arrampica parla soltanto una calma silente. A chi domanda di far presto, il Gargano dice solo: “Calma”. Giunto ad Apricena, il convoglio pare già un invasore piccolo e discreto. Lattiginoso sbuffatore elettrificato sovrastato dal frinire delle cicale. Metro dopo metro, s’addentra nel tepore di una storia narcotizzata. Fermata come un’istantanea sul rosmarino che s’inerpica sul traliccio della ferrovia, sulle capre che brucano beate ai bordi dei binari, sulle vacche che ignorano l’esistenza di una vita diversa dalla loro. Si marcia su fenomeni carsici antichi come le montagne. Passato l’abitato di Sannicandro, il balcone si amplia. La ferrovia corre in mezzo fra i laghi di Lesina e di Varano; sullo sfondo, le Tremiti sono un increspamento nebbioso dell’orizzonte.


Dal treno, passa Cagnano Varano. Più Baghdad che Foggia, poi Carpino ed Ischitella. Nel mezzo: distese infinite di nulla che si perdono nell’ozio. Campi, ulivi e terra che il vento fa turbinare. Polvere di Dio e dell’Arcangelo che bussa in faccia: pulviscolo rosso, marrone, nero. Corpo che accoglie alberi e filari di viti. Ordinati, come schiere in fila. In mimetica verde, come soldati dell’ebbrezza. Sono i paesaggi per cui ha vibrato la chitarra di Matteo Salvatore, hanno taccheggiato le castagnole di Antonio Piccininno, poetato le voci degli antichi cantori, i menestrelli del Gargano.


Quando sbuca il mare, faraglioni bianchi come iceberg sedimentati di roccia, capisci di essere quasi a meta. I gabbiani si fanno compagni di viaggio. Spunta un trabucco, poi una galleria, alla fine Rodi con il suo porto turistico nuovo di zecca. I villeggianti della domenica e quelli settimanali, gli alberghi di lusso ed i villaggi turistici. L’azzurro pulsa di luce. Fino a Vico, spiaggia per spiaggia, poi ancora bosco. Nell’ombra, fra gli alberi, stracci di mare. Tutto è lento. Lento, non slow. Lento alla marinaresca, non alla Grand Canyon. A Calenella, il trasbordo in pullman. Ed una salita che ogni curva è un patema. Peschici fissa a poppa come un punto bianco dilatato sulla scogliera. Lungo il tragitto, le impronte saracene, torri d’avvistamento contro altri pirati (i primi furono loro), bancarelle di frutta e olive e pane e aglio e cipolle e salumi. Un treruote, sul ciglio sabbioso della strada, ormai ad un tiro di schioppo da Peschici, ha il carico pieno di sedie e tavolini di legno.

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Bolognetti vs Bove: “Se ci sono i dati, allora li tiri fuori”

Maurizio Bolognetti in una delle sue tante battaglie che gli sono valse l'encomio di Pannella (fb)

Potenza – QUALCOSA si sta incominciando a muovere sul fronte Fenice. Il consigliere regionale Nicola Pagliuca, capogruppo del Popolo delle Libertà in seno all’assise di Viale della Regione, pochi giorni fa ha scosso dal sonnecchioso torpore la politica lucana, scagliando, nel mezzo del placido laghetto, una pietra che, per la verità, Stato Quotidiano aveva lanciato, con gran clamore, oltre un mese fa. “Chiediamo al Presidente della Giunta Regionale [Vito De Filippo, Pd, ndr] di conoscere le motivazioni addotte dalla Fenice S.p.A. circa il passaggio di gestione alla nuova società e se sono state fornite, agli enti competenti, le garanzie necessarie considerato l’esiguo importo del capitale sociale della Fenice S.r.l.”. E, con Stato, i Comitati locali ed i Radicali Lucani.

Lo scossone più grande, comunque, giungerà dalla manifestazione indetta dall’organizzazione “Diritto alla Salute” di Lavello. Una grande manifestazione, messa in piedi per venerdì (8 luglio, ore 18.30, Piazzale Sacro Cuore), nata in quattro e quattr’otto per richiamare l’attenzione dei media, per sbandierare al resto della penisola il malcontento e per far recapitare a chi di dovere (Regione Basilicata, Arpab, Asl) messaggi di mancato addestramento della popolazione. Neppure l’incitamento degli operai del termodistruttore, il ricatto del lavoro, ha fermato la battaglia. In piazza si va, dicono dalle parti del Comitato lucano, per “far chiudere lo stabilimento di Fenice”. Che, vale la pena ricordarlo, mette a repentaglio la salute della popolazione e della filiera agroalimentare anche della provincia di Foggia.

L’intervista rilasciata a Stato dal Coordinatore dell’Arpa della Provincia di Potenza, Bruno Bove, intanto è deflagrata con tanto di boato accessorio. Tutti i giornali lucani hanno ripreso la notizia. In un trafiletto, l’edizione de La Gazzetta del Mezzogiorno, si è anche chiesta la liceità avocatasi dagli Uffici dell’Arpa di non pubblicare i dati di fronte ad una situazione tanto grave (a maggio, va ricordato, nei pozzi di emungimento a valle di Fenice sono state rinvenute quantità consistenti di arsenico).

“E io ho presentato un esposto in Procura a Potenza”, introduce Maurizio Bolognetti (direzione nazionale Radicali, da sempre impegnato nella battaglia contro l’incenerimento a Melfi).

L’ennesimo, Bolognetti. Allora ha ragione Marco Pannella quando la ringrazia per “la sua tenacia e per la forza con cui porta avanti le battaglie anche da solo”. Ma serviranno queste azioni? No, sa, perché, in tutta questa storia, esce fuori una magistratura particolarmente tardiva nei provvedimenti…
E come potevo non farlo? Quando leggo dichiarazioni come quelle rilasciate a lei da Bove, in cui lui si arroga il diritto di non pubblicare dati che sono pubblici e che, nel 2009, la stessa Procura di Melfi ha desecretato, non posso che invocare, anche a livello ufficiale, una subitanea presa di posizione da parte della Procura. Poi, magari, ciò non avverrà.

Cosa la sorprende, Bolognetti?
La domanda è un’altra: come può un funzionario dell’Arpa, uno che sarebbe tenuto a garantire la salute dei cittadini, decidere, al contrario, di mettere sotto silenzio una cosa che ha riflessi estremamente pesanti sulla salute delle comunità?

Ve bene, lo chiediamo a lei: come può?
Non lo so come possa farlo. So che, facendolo, va incontro ad una palese violazione della Convenzione di Århus che, all’articolo 5, comma C, prevede la diffusione immediata e senza indugio di ogni cifra a dato o elemento che descriva l’attività di qualsiasi cosa abbia ripercussioni dirette sulla salute delle persone e dell’ambiente. A Potenza ed a Lavello, invece, si sta scherzando amenamente sulla pelle della persone, di un’intera comunità di cittadini. E questa cosa è estremamente grave.

Bove ci ha confermato che i dati ci sono e che è necessario domandarli con atto formale. Dopo di che, chiederà alla Procura se…
Ma sono due anni che chiediamo la documentazione all’Agenzia Regionale per l’Ambiente! Questa sui dati, mi creda, è una querelle storica, un tira e molla che, in tutta franchezza, mi sta seccando. Sta seccando me, sta seccando i Radicali, sta seccando i Comitati e i cittadini. Prima, e parlo del giugno del 2009, dicono che sono secretati. Quando, ad ottobre di due anni fa, la Procura di Melfi decide, finalmente, che è giunto il momento di sapere ed ordina la pubblicazione degli stessi, ci vengono fatti vedere solo quelli a partire dal 2008 (ora scomparsi dal sito dell’Arpab, misteriosamente, ndr). E gli altri? E quelli precedenti? Bove, tempo fa, ha detto e cito che tutti “sapevano che Fenice stava inquinando”. Bella scoperta. E, chiedo a Bove: che avete fatto per fermarla? Niente, hanno alzato le mani e detto che, al contrario, non spettava all’Arpa intervenire. Mi sembra tutto molto grottesco.

Bolognetti che c’è in quei dati di tanto sconvolgente? Insomma, ormai tutto il peggio è uscito: nichel, manganese, arsenico. Le colpe di Fenice, la vostra verità. Cosa li spinge a non pubblicare proprio quelli precedenti?
(grossa risata) Questo bisognerebbe chiederlo a Vincenzo Sigillito (ex direttore dell’Arpab, ndr), a Raffaele Vita (attuale direttore dell’Arpab, ndr), a Bruno Bove, a Fenice.

…alla magistratura…
In particolare al Procuratore di Melfi, Renato Arminio.

Che c’era?
E chi lo sa? Ufficialmente erano dati incompleti e non formali. Ciò significa che o non sono stati fatti i controlli, oppure, nel caso questi siano stati fatti, nessuno si è preso l’onere di firmare le carte…

Non c’è mai fine al peggio?
Forse i dati erano peggiori di quelli attuali, si. Forse erano centinaia di volte superiori alla norma. Forse temono si possano scoprire connessioni terribili con le morti sul territorio. L’inquinamento, e soprattutto certo inquinamento, non scompare con il tempo. Resta incollato sulla pelle di una terra: sui suoi frutti, sui suoi suoli, sulle sue acque. Stanno ammazzando un territorio che, prima dell’indotto Sata, era puro e vergine. E, soprattutto, vivibile.

E se Bove avesse ragione a dire che è la Procura a non volere la diffusione dei dati?
Io non ho nulla contro Bove, sia chiaro. Tuttavia, mi sembra alquanto particolare che una Procura decida di togliere il segreto istruttorio soltanto su certe carte e non su altre. Magari da quelle fatte passare sotto silenzio non esce nulla di scandaloso. Oddio, già sapere che l’inquinamento incide sul Vulture non da due anni ma da nove sarebbe una notizia drammatica. In ogni caso il problema è anche di democrazia. I cittadini hanno il diritto di sapere.

Ma la politica che fa?
La che? La chi? Non ricordo di aver mai sentito l’Assessore alla Sanità della Regione Lucania, Mancusi, fare pubbliche dichiarazioni contro l’inceneritore La Fenice di Melfi. E non credo di sbagliarmi. L’unica uscita che si ricorda del buon Mancusi risale ad un paio di anni fa e concerne un battibecco avuto in consiglio regionale con l’ex sindaco di Melfi, Alfonso Ernesto Navazio, al quale Mancusi ricordava che, dal 2006, non si svolgono indagini epidemiologiche sull’area. Tutto qua.

Nicola Pagliuca, consigliere regionale di centrodestra, la settimana scorsa ha posto in essere il passaggio da Fenice spa a Fenice srl nella gestione dell’impianto, chiedendo conto al Presidente Vito De Filippo del motivo per il quale la regione abbia taciuto di fronte a questa sorta di pre ammissione di colpevolezza della società di gestione dell’inceneritore melfitano.
Sono passati sette mesi da quel passaggio di consegne e Pagliuca è stato il primo, diciamo così, politico istituzionale a portare allo scoperto la questione. Voi di stato, ad esempio, ne avete parlato un mese fa. Io lo denuncio da gennaio. I Comitati fanno altrettanto. Basta fare una sillogica deduzione…

Dalle parti di De Filippo tutto tace…
E che si aspettava? La tattica è quella del muro di gomma: assorbire il colpo e, nel caso, fagocitare.

Neppure il Sistema Sanitario brilla in questa storia…
E, su questo, mi sento di dare ragione al dottor Bove. L’Asl, anzi le Asl delle zone coinvolte, dove sono finite? Le ultime rilevazioni risalgono addirittura al 2006. E già allora – ecco perché crediamo che ci sia premeditazione dietro il “ritardo” – le stime erano incredibilmente allarmanti. E ora? A Lavello i cittadini ripetono ossessivamente che tre su cinque dei ricoverati al Crob vengono dal loro paese. Che non è New York. Che cosa vogliono fare? Attuare uno sterminio di massa? Diano delle risposte e facciano subito. Si attivi il personale sanitario, si scuotano anche gli stessi medici di base. Non restino chiusi nel loro silenzio. In tutta la Basilicata, lo dice l’Istat, non un Bolognetti qualunque, c’è stato nel 2006 un tasso di incidenza tumorale più grande che in tutto il resto del Paese. Questa peste italiana deve essere curata.